Ieri e l’altro ieri il nuovo Presidente del Consiglio ha parlato alle Camere: lunedì al Senato, martedì alla Camera. E’ stato come vedere una specie di ufo atterrare in parlamento: i discorsi a braccio, l’informalità della gestualità, la vistosa alterità rispetto alle due assemblee che, dal canto loro, gli hanno riservato un’accoglienza tutt’altro che calorosa. A partire dal gruppo del PD, che certo non si è spellato le mani per lui né al Senato né – ne sono testimone oculare – alla Camera dei deputati.
Stefano Menichini, con la solita puntualità, ha scritto che alla fine Renzi e il parlamento, pur non piacendosi, hanno un interesse comune a darsi da fare: il primo per eseguire il mandato che sente di aver ricevuto dalla gente, il secondo per poter in qualche modo sopravvivere. Il fatto è però che l’anomalia-Matteo non risulta indigesta solo ai parlamentari. Vi assicuro che anche le espressioni di molti giornalisti in Transatlantico dicevano tanto. In giro, un sacco di visi tiratissimi per il sacrilegio, per la violazione di norme evidentemente inderogabili e fondamentali: “Capisci? Non aveva un testo scritto da consegnare al Presidente della Camera! Si è dovuto aspettare per un’ora (un’ora!) che fosse pronto il resoconto stenografico!”. Sarà che sono qui da poco però, sì, capisco.
Eppure credo che l’establishment dovrebbe essere portato ad agevolare l’enorme compito che si para di fronte a Renzi non solo per mero istinto di sopravvivenza ma anche per un ragionamento più ampio e articolato. Qui non si tratta di tenere in vita un parlamento a tutti i costi: morto un parlamento, se ne fa un altro. Il punto è che bisognerebbe definitivamente digerire il fatto che Renzi oggi porta alla politica una capacità di comunicare con il paese che i partiti hanno perduto da tempo. Che in un certo senso Renzi è l’ultima chance che l’Italia sta concedendo a una politica inconcludente e definitivamente screditata agli occhi dei cittadini. Sostenere Renzi, evitando possibilmente di fare una faccia schifata ogni volta che apre bocca, significa dimostrare di aver capito che siamo nel mezzo di una partita fondamentale. Qui non è in gioco la sopravvivenza della legislatura, ma quella del sistema.
Dovrebbero comprenderlo i democratici di ogni rito e cultura, così come gli alleati di governo e le opposizioni non totalitarie. Grillo a parte, insomma, dovrebbero comprenderlo tutti.