Maria Elena Boschi, interpretando l’orientamento del Governo e del premier, ha ribadito anche oggi su Repubblica che la riforma costituzionale che il Senato sta esaminando sarà sottoposta a referendum confermativo. È un atto di responsabilità e di apertura che dovrebbe bastare da solo, ovemai ce ne fosse qualche bisogno, a chiarire quanto il Pd e la maggioranza siano immuni da qualsiasi tipo di tentazione autoritaria.
Noi non siamo gli eversori dell’opera dei Terracini, dei Nenni, dei De Gasperi, dei La Malfa: ne siamo al massimo i modesti continuatori. Non è un caso che consideriamo intangibile la prima parte della Carta, e che innoviamo la seconda (quella relativa all’ordinamento dello Stato) restando nel solco delle sue caratteristiche fondamentali. La Costituzione che avremo alla fine del processo di riforma sarà, come quella del 1948, la legge fondamentale di una Repubblica parlamentare a prevalenza del legislativo, con un Presidente del Consiglio legato ad una maggioranza decisa dagli elettori, un Capo dello Stato con funzioni di primo garante, una visibile e concreta partecipazione delle autonomie alla vita dello Stato.
Superiamo il bicameralismo perfetto, che la Costituente disegnò non solo sulla base di un “complesso del tiranno” che settant’anni di democrazia dovrebbero avere quanto meno attenuato, ma anche in forza della circostanza che i due rami del Parlamento venivano eletti in momenti diversi, in modo che rappresentassero diversi momenti della vita del Paese. Luigi Einaudi sciolse l’assise di Palazzo Madama nel ’53, e da allora Camera e Senato sono state elette insieme ed hanno costantemente avuto la stessa maggioranza fino al pasticcio del Porcellum.
Malgrado le autorevoli voci in favore del monocameralismo (che è un’esperienza diffusa nelle civilissime democrazie nordiche), la nostra riforma conserva una “Camera alta”, che può avere (come ha) utili funzioni di “ripensamento” per eventuali svarioni della Camera dei Deputati, e che per giunta è espressione di assemblee elettive regionali che possono essere – e spesso sono – diverse da quelle che ci sono al Parlamento.
I sondaggi ci dicono che i cittadini vogliono in maggioranza senatori elettivi. Ma sono gli stessi cittadini che sono favorevolissimi a che non abbiano una indennità propria e soprattutto alla riduzione nettissima del loro numero: l’elezione di secondo grado (che è diversa dalla “nomina”: manda a Palazzo Madama persone che sono comunque state elette ai Consigli regionali dal voto popolare) garantisce nel modo migliore queste contrapposte esigenze.
Il fatto che il Senato sia differenziato nei suoi poteri e nelle sue competenze rispetto alla Camera, come avviene in tutte le democrazie del pianeta, è una semplice operazione di buonsenso. Se ne può discutere, è chiaro; ma direi che ci vuole un forte gusto del paradosso per dire che questa riforma non sia rispettosa della Costituzione e dei suoi equilibri fondamentali. Specie se a dirlo è chi invocava i missili sul Parlamento.
Non è questione di battute: chi, come la Lega e il Movimento Cinquestelle, vuole i referendum propositivi o vuole introdurre in varia forma il vincolo di mandato (o “mandato imperativo”), difende posizioni antitetiche allo spirito della Costituzione. In modo legittimo, perché la Costituzione ha una sua sacralità civile, ma non è un dogma di fede; ma che almeno eviti di travestirsi da difensore di quella Costituzione che avversa o nel migliore dei casi ignora. La Costituzione si difende facendo in modo che funzioni: che è esattamente quello che stiamo cercando di fare.
2 risposte a “Chi difende la Costituzione”
Buongiorno Onorevole Scalfarotto,
riporto qui, espandendola, la domanda che le ho rivolto su Twitter sperando sinceramente in una sua risposta. Finora non ho mai sentito nessuno rispondere nel merito ad alcune delle tante obiezioni sulla riforma e confido che lei, persona equilibrata e, ritengo, intellettualmente onesta, possa soddisfare la mia curiosità.
Il suo post sarebbe del tutto sensato e condivisibile se non fosse per il seguente paragrafo.
1) State davvero basando la revisione del funzionamento della nostra democrazia su dei sondaggi? Come si differenzia questo approccio dalle “votazioni online” di Grillo? Se l’anno prossimo i sondaggi rivelassero un’opinione diversa, cambiereste di nuovo l’impianto della riforma? Non avete delle vostre idee in merito? Non crede che compito di un politico sia quello di scegliere sulla base delle proprie convinzioni ed esperienze la soluzione che ritiene migliore e convincere il popolo della bontà della propria scelta?
2) Sulla base di cosa può affermare che “l’elezione di secondo grado garantisce nel modo migliore queste contrapposte esigenze”? Da dove viene questa certezza? Cos’ha questa proposta in più delle alternative?
3) Perché una persona eletta per fare il consigliere regionale votato per la sua expertise in tematiche locali, dovrebbe essere adatto a fare il senatore? E perché non dovrebbe essere remunerato per questa sua funzione?
4) Non ritiene che fare due lavori contemporaneamente porti a fare male entrambi? Se nella sua carriera nelle HR un suo dipendente le avesse proposto di mettersi a fare un altro lavoro part time pur continuando a percepire lo stesso stipendio, come avrebbe reagito?
La ringrazio in anticipo se vorrà rispondermi e spero davvero di poter ispirare qualche riflessione: ho la netta impressione che a furia di urlarsi addosso sia un bel po’ di tempo che nessuno si ferma un attimo in silenzio.
Saluti e buon lavoro
Evidentemente con html faccio schifo: il paragrafo incriminato è il seguente
I sondaggi ci dicono che i cittadini vogliono in maggioranza senatori elettivi. Ma sono gli stessi cittadini che sono favorevolissimi a che non abbiano una indennità propria e soprattutto alla riduzione nettissima del loro numero: l’elezione di secondo grado (che è diversa dalla “nomina”: manda a Palazzo Madama persone che sono comunque state elette ai Consigli regionali dal voto popolare) garantisce nel modo migliore queste contrapposte esigenze.