Le posizioni della destra italiana a proposito della vicenda dei due nostri fucilieri di Marina sono ottimamente riassunte dal titolo del Giornale di Vittorio Feltri di qualche giorno fa. La buona notizia del ritorno in Italia di Massimiliano La Torre, autorizzato a curarsi nel nostro Paese per quattro mesi per rimettersi dall’ischemia che lo ha colpito, è stata incorniciata da “E uno. Ora teniamocelo”.
È un titolo che con un eufemismo definirei irresponsabile. I giornali, ovviamente, fanno quel che vogliono e titolano come gli pare: ma sospettare che questa sia la linea di forze politiche rappresentate in Parlamento e che hanno avuto responsabilità di governo fa rabbrividire.
Sta sulla stessa linea, d’altronde, il tweet con cui Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha duramente rampognato Matteo Renzi, reo di avere con lo stesso mezzo manifestato apprezzamento per la disponibilità manifestata in questa circostanza dal governo indiano. Fin dall’inizio, da quel brutto giorno di febbraio del 2012 in cui è iniziato il “caso marò” abbiamo assistito a queste esibizioni trinariciute e insensate, che lasciavano credere che il problema fosse fare la voce grossa o sbattere i pugni sul tavolo e non, come è invece, una delicata e complessa vicenda di relazioni internazionali, ulteriormente ingarbugliata da spigolosità e macchinosità interne alla società indiana e al suo assetto istituzionale.
Forse questi rappresentanti della destra si comportano così anche per il riflesso di una falsa coscienza, visto che la vicenda che coinvolge Massimiliano La Torre e Salvatore Girone affonda in parte le sue radici in una normativa improvvida ed ambigua che porta la firma dell’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa. Può darsi che puntino a far dimenticare le disinvolte dichiarazioni di Silvio Berlusconi all’indomani dello scandalo Finmeccanica, secondo le quali in paesi come l’India “per avere gli appalti bisogna pagare le tangenti”. Di sicuro questa nostalgia della “politica delle cannoniere” o questa sorta di sprezzante atteggiamento coloniale non solo non risolvono la penosa situazione in cui versano i nostri due militari, ma la aggravano. Al pari delle assurde richieste a Del Piero di non giocare nel campionato indiano o quelle di boicottare il matrimonio e la sfarzosa festa di ricevimento salentina della figlia del magnate Pramod Agarwal.
Da italiano, ovviamente, mi auguro che Massimiliano La Torre resti in Italia: ma dobbiamo lavorare, come ha giustamente detto la ministra della Difesa Roberta Pinotti, perché ci resti insieme a Salvatore Girone ed a seguito di un definitivo chiarimento bilaterale fra i Governi di Roma e di New Delhi. Per ottenerlo l’Italia non si è affidata alle boutades più o meno grossolane o alle smargiassate: ha usato la sua forza e la sua autorevolezza per dire al Governo indiano che, se i due Paesi non saranno in grado di trovare una composizione alla vicenda secondo le regole del diritto internazionale e del buonsenso, si ricorrerà ad un arbitrato internazionale. La mia impressione è che anche questo risoluto atteggiamento abbia contribuito, a parte il malaugurato accidente che ha colpito La Torre, ad ammorbidire le posizioni indiane.
Non pretendo, ovviamente, che il Giornale dia atto al Governo Renzi di questo cambio di rotta, dopo i pasticci del ministro Terzi e il sostanziale stallo del Governo Letta. Se lo facesse, sarebbe un giornale anche con la g minuscola. Sarebbe auspicabile solo che i guerrafondai d’occasione tenessero i loro passatempi nei limiti del folklore. Penso che, in fondo in fondo, il ritorno di Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, sia desiderato anche da loro. Quindi non lo rendano ancor più problematico di quanto non sia.