Ignazio, lasciatelo lavorare
Conosco bene Ignazio Marino. Anzi, lo conosco benissimo. Ho lavorato con lui senza sosta durante il congresso del 2009, quello che condusse Bersani alla segreteria nazionale del Partito democratico. Conosco bene Ignazio Marino e non risponde a nulla di ciò che io leggo di lui in questi giorni sulla stampa. Anzi no, c’è una cosa che posso confermare ed è il fatto che l’unica automobile di casa sua è una Panda rossa, che nemmeno guida lui, ma sua moglie Rossana.
Avere una Panda (e basta) per tutta la famiglia: un dettaglio che dovrebbe costituire un elemento trionfale per la biografia di un sindaco di una capitale, in questi tempi in cui alla politica si chiede rigore e moralità, e che invece incredibilmente è stato usato contro di lui. Come si faccia a far diventare impopolare una popolarissima Panda, davvero Dio solo lo sa. Ma se oggi stiamo qui a discutere di un’utilitaria, questo la dice lunga sull’aria che soffia intorno a Marino e su quanto sia ripida la strada che deve scalare.
Dico subito che Ignazio è una persona eccezionale per integrità e rettitudine. Un meritocratico autentico, e di conseguenza uno estremamente esigente con se stesso e con chi lo circonda. E’ una persona con un senso molto definito di ciò che è giusto e per niente incline ai compromessi. Uno che non fa nulla, ma proprio nulla, per compiacere. Né magari per rendersi simpatico. Uno che ha con sé la certezza di aver saputo mettere il fegato di un babbuino nella pancia di un essere umano, e di averlo fatto funzionare a dovere: una sicurezza inossidabile da un lato, ma non sempre la posizione migliore per sentirsi a proprio agio nel chiedere aiuto a qualcuno per fare qualcosa.
Non sono romano e vivo a Roma solo part-time e solo dal mio arrivo in Parlamento, un anno e mezzo fa. Però leggo i giornali e so di cosa si parlava quando il sindaco era Alemanno: le assunzioni dei parenti nelle municipalizzate, per esempio. Da Ignazio Marino, affronti di questo genere Roma non dovrà subirli mai. E Marino farà, senza sconti per nessuno e senza compromessi, ciò che ritiene sia giusto per la sua città. Lo sta già facendo: si veda il lavoro sull’abusivismo, sull’occupazione del suolo pubblico, sull’idea che i vigili debbano stare in strada e non negli uffici e suo fatto che chi è chiamato a ricoprire un incarico pubblico deve arrivarci per le cose che conosce (e non per le persone che conosce). Da ultimo il provvedimento sui lavori stradali, annunciato proprio in queste ore.
Alcune cose non si vedranno subito. Tutto il tema dei rifiuti, per esempio, richiede tempo. Ma Marino (con la sua brava assessora all’ambiente Estella, di cognome Marino pure lei) rifugge dall’idea che hanno avuto i suoi predecessori di aprire un buco e di buttarci dentro tutta l’immondizia della città fino a riempirlo, per poi aprire un altro buco e così all’infinito. Cambiare metodo è un processo culturale che non diventa realtà dalla sera alla mattina. Perciò bisogna perseverare: perché è vero che a mettere la monnezza nel fosso poi non si vedono in giro sacchetti di rifiuti abbandonati, e così di conseguenza nessuno si lamenta dello sporco per la strada. Ma è sulla differenziata che bisogna continuare, anche se richiede pazienza e qualche residuo sacchetto abbandonato per strada che forse dà fastidio all’occhio, ma sempre meglio che sepolto dentro a una discarica.
Insomma, Marino potrà anche risultare antipatico o sembrare goffo (come ha scritto Corrado Augias su Repubblica), ma è onesto, estremamente intelligente, molto determinato e diretto. Per come lo conosco io, ha tutti i numeri per essere un grande sindaco. Il lavoro per cambiare verso a Roma è lungo e richiede pazienza, forse da parte sua anche l’accettazione dell’idea che il partito non è lì necessariamente soltanto per assediarlo, e che da quella comunità di donne e uomini, sapendo forse un pochino discernere, possono arrivare buona volontà e buone idee. O anche che avere un minimo di buona stampa non significa per forza cedere a un compromesso.
Ma chi pensasse che Marino dovrebbe sic et simpliciter lasciare non renderebbe un buon servizio, lo penso con ferma convinzione, né al Partito democratico di Roma né, ciò che più conta, a Roma.