Quest’oggi, nella discussione e votazione in Commissione del migliaio e passa di emendamenti alla riforma costituzionale, sul voto di due emendamenti identici presentati dalla “minoranza” del PD e da SEL, e votati pure dalla Lega Nord e dal Movimento 5 Stelle, il governo è “andato sotto”. Si dice così quando la commissione o l’aula non rispetta il parere del governo su una norma o un emendamento e vota in contrasto con le sue indicazioni.
E’ una cosa inusuale, perché normalmente la maggioranza è – appunto – in maggioranza e ha quindi i numeri per far passare tutte le proposte del governo che sostiene. E’ inusuale, ma succede. Perché a volte capita che alcuni dei parlamentari di maggioranza sommino i loro voti a quelli della minoranza e dunque la minoranza diventi maggioranza e, specularmente, la maggioranza si ritrovi in minoranza.
Non è naturalmente un buon segno, perché indica uno scollamento all’interno della maggioranza, ma serve per indicare un malessere, o per dare un segnale, o per indicare un problema su un tema specifico. Infatti si verifica di rado, perché prima di creare il patatrac, si cerca di solito di lavorare al fine di veicolare eventuali malesseri, segnali e problemi in forma meno cruenta e pubblica.
Non voglio entrare nel merito dell’incidente di oggi, ma c’è una cosa che pensavo a margine dei lunghi lavori della giornata. Riflettevo che le riforme per il nostro Paese sono una specie di cura obbligatoria, quella che fa un malato grave che desideri guarire da una malattia molto seria.
Sono indispensabili perché contribuiscono alla credibilità dell’Italia, che è gravata da un enorme debito pubblico e come tutti i debitori ha bisogno di essere credibile per non risultare inaffidabile e quindi dover cercare a più alto prezzo i capitali di cui ha bisogno (sempre che trovi qualcuno disponibile a prestarglieli).
E sono indispensabili anche perché si sa che soltanto con un piano efficace di riforme – non solo costituzionali ma anche di tipo strutturale: lavoro, giustizia, fisco, pubblica amministrazione – potremo finalmente far ripartire la nostra economia, rendendo l’Italia un luogo più accogliente per gli investimenti e per l’attività di impresa.
Ebbene, “mandare sotto” il governo nel suo sforzo riformatore, sommando i propri voti a quelli di Salvini e di Grillo, è un’idea particolarmente singolare, molto più gravida di conseguenze di quanto non sia già in una situazione normale.
Perché operare in un modo che oggettivamente mette a rischio il completamento delle riforme – volendo anche accettare che si sia stati spinti da una genuina aspirazione al miglioramento delle medesime (ma si sa che il bene e il meglio hanno un rapporto reciprocamente molto complicato) – è qualcosa che non mette a rischio solo una leadership di partito o magari un governo, come pure si potrebbe pensare, ma l’interesse di un intero Paese.
Una risposta a “Andare sotto”
[…] un incendio negli uffici del governo, il nostro pallottoliere indicava con precisione che saremmo ‘andati sotto’. E non per colpa di Bertinotti, che offrì solo l’occasione per realizzare un disegno […]