La condizione costitutiva della politica è che non la si pensi tutti allo stesso modo, ed anche che non esista un modo di pensare più giusto degli altri per ragioni oggettive. E’ quindi con profondo rispetto per quanti, domani, compiranno nell’elezione del Capo dello Stato scelte diverse da quella del PD, che voterò con convinzione per Sergio Mattarella.
Tuttavia, certo per mio limite, sono abbastanza perplesso dal comportamento di due grandi forze rappresentate in Parlamento, e per la precisione da Forza Italia e dal Movimento Cinque Stelle. Ho sentito Daniela Santanché profferire epiteti innominabili all’indirizzo del nostro presidente del Consiglio, perché avrebbe tradito il patto con Berlusconi. Dicevo ieri che in realtà Renzi si è limitato a fare quello che aveva sempre detto di voler fare: individuare un candidato condiviso da tutto il Pd che non fosse vissuto come ostile dalle altre forze politiche.
Non ho partecipato alle trattative, ma mi pareva che da parte di Forza Italia ci fossero alcune richieste: di non candidare personalità tecniche; di evitare personalità che fossero state leader di partito; di avere un candidato moderato, dal profilo il più vicino possibile a quello del popolarismo europeo. Sarebbe difficile immaginare uno che più di Sergio Mattarella risponda a questo identikit.
Lo stesso Berlusconi, peraltro, precisa che il suo diniego non va inteso come un rifiuto della persona, ma come una contestazione del metodo. Il metodo però mi pare altrettanto trasparente: il leader della maggior forza politica riflette, consulta e propone. Non il giochino della rosa dei nomi, che equivale a dare ad un altro la licenza di scegliere in casa tua, ma un candidato che tenga conto delle indicazioni ricevute. Ed è questo il caso.
Tuttavia, se Berlusconi e Forza Italia possono trovare nella scheda bianca un modo per ricompattarsi e “cedere con fermezza”, capisco davvero poco il Movimento Cinque Stelle. Sergio Mattarella è un candidato dalla biografia irreprensibile, ed è fra l’altro autore di una legge elettorale che i grillini ritenevano e penso ritengano fra le migliori. Il Movimento, che era possibilista sull’ipotesi di votare Romano Prodi, il papà dell’euro, e il Pierluigi Bersani che aveva svillaneggiato, non ritiene nemmeno di sottoporre ai propri militanti, secondo le loro peculiari regole interne, il nome di Mattarella per sapere se sia gradito? Dopo la prova di duttilità e di “scaltrezza” che aveva portato a quelle due indicazioni, mi pare un ritorno indietro.
Intendiamoci, l’idea che esista una “maggioranza del Quirinale” in concorrenza o in sfida con quella di Governo o quella per le riforme è una solenne sciocchezza: come ha detto Renzi, siamo consapevoli di candidare al Quirinale una persona che non esiterà a dire “no” anche a coloro che lo hanno votato, quando i suoi doveri glielo impongano. Ogni calcolo o geometria politica basato sull’inquilino del Colle è destinato a naufragare. Ma proprio per questo non sarebbe male se la politica, in presenza di una personalità moderata, autorevole, equilibrata, che nessuno può davvero sentire come una minaccia, mostri una volta tanto di saper distinguere ciò su cui è giusto dividersi da ciò su cui è giusto unirsi.