Lavori in corso
Michele Ainis firma oggi sul Corriere un articolo di serrata e meritata critica al nostro Paese e alle sue istituzioni per la lentezza ai limiti (talora oltre i limiti) del torpore in tema di diritti. L’illustre accademico cita il caso eclatante della condanna da parte della Corte Europea di Strasburgo per i fatti di Genova ed il mancato adempimento agli obblighi normativi derivanti dalla ratifica della convenzione contro la tortura del 1984 (che l’Italia ha recepito quattro anni dopo).
Vi aggiunge, correttamente, il tema del sovraffollamento carcerario e quello dell’irragionevole durata dei processi. Di mio rincarerei la dose e aggiungerei il drammatico ritardo nel riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali che vogliono sposarsi, di quelli delle coppie di fatto etero ed omosessuali, del contrasto all’omofobia e alla transfobia, delle norme sul fine vita, di una disciplina moderna in tema di droghe leggere, di una parola definitiva sulla fecondazione eterologa, dell’approvazione della legge sul divorzio breve e di quella sul cognome delle madri ai figli.
E tuttavia considero questa critica, che inevitabilmente coinvolge anche il Governo di cui faccio parte, come una medaglia al valore per Matteo Renzi e per il suo Esecutivo. Perché, scrive Ainis, “il nostro ritardo sul fronte dei diritti non è certo colpa del governo in carica: prima di Renzi ritardava Letta, e Monti, e Berlusconi. Però l’esecutivo Renzi marcia con passo da bersagliere e tutti gli italiani dietro col fiatone. Ecco, se il bersaglio del bersagliere diventassero i diritti civili, saremmo tutti più contenti di sudare.”
Si tratta, come penso converrebbe anche Ainis, di un bersaglio integrativo, e non sostitutivo. Si vuole cioè che si proceda sui diritti civili con la stessa democratica risolutezza con cui si è affrontato il tema della riforma costituzionale, di quella del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione, del fisco, della scuola e così via. È importante che si vada consolidando la percezione di questo cambio di passo, che ci si abitui ad un programma di Governo che pone l’urgenza di affrontare i nodi strutturali del sistema Paese, per non dover sempre e costantemente rincorrere le emergenze.
È positivo, è utile, è necessario che di fronte ad un impianto così ambizioso i cittadini e i commentatori si facciano più esigenti, moltiplichino le loro istanze e le loro aspettative. Dentro un sistema vischioso ed una società fortemente irrigidita dagli egoismi, il Partito Democratico e il suo leader, la coalizione di Governo e il suo premier hanno scelto di indicare il segno di un’altra orbita. Non vivacchiare, non galleggiare, mettersi in discussione e mettere in discussione le venefiche certezze dei “non si può”, dei “non si dice”, dei “non si fa”. Tutte le leggi di cui parliamo, compresa quella contro la tortura, con questo governo si sono finalmente disincagliate e stanno navigando i pur procellosi mari della Camera e del Senato. Gli Italiani se ne sono accorti.
I lavori sono in corso. Persistono ritardi? Direi proprio di sì. Ci sono degli errori? È ragionevole che ve ne siano. Si può fare meglio? Può darsi. Ma è una gran buona notizia che i cittadini comincino a pensare di avere un Governo che anche in questo campo spinge, muove, decide. Perché di governi fermi, assopiti e temporeggiatori ne abbiamo avuti fin troppi.