Quando ero a Londra, una delle questioni che più venivano dibattute all’interno delle Direzioni Risorse Umane delle grandi aziende era quella di come reagire alla discriminazione di un dipendente da parte di un cliente. Cosa si fa, ci si chiedeva, se un cliente – e i nostri clienti erano enormi: multinazionali, fondi sovrani, talvolta direttamente il Tesoro di molti governi – discrimina la persona che mandiamo a rappresentare la banca? Se un fondo sovrano arabo rifiutasse per esempio di operare e di relazionarsi con una nostra “relationship manager” donna, cosa decideremmo di fare?
L’interrogativo mi è venuto in mente leggendo sul Corriere questa mattina del braccio di ferro tra Francia e Vaticano sull’ambasciatore designato di Parigi presso la Santa Sede, Laurent Stefanini: bravissimo e perfetto per l’incarico per universale riconoscimento, ma gay. Pare che il Papa in persona lo abbia convocato per comunicargli a quattr’occhi che da Oltretevere il gradimento nei suoi confronti non giungerà mai.
Nel chiedermi cosa deciderà di fare François Hollande, se tenere il punto o cedere alla decisione di Francesco, mi sono dunque ricordato di quale sarebbe stata secondo deontologia professionale l’unica risposta possibile al mio Direttore Generale se fossi stato il Direttore Risorse Umane e mi fosse stato chiesto come procedere in un caso del genere. “Noi scegliamo sempre la persona migliore per l’incarico, senza discriminazioni e indipendentemente dalle sue caratteristiche personali – gli avrei detto – e questo è un tratto costitutivo della nostra cultura aziendale. Se il cliente si rifiuta di trattare con un nostro dipendente, Direttore, noi non scegliamo in nessun caso di perdere la nostra identità. Preferiamo perdere il cliente.”