Dialogo sì, decisioni pure
Una delle osservazioni che più mi ha colpito in questi giorni circa l’atteggiamento tenuto nel suo operare dal governo Renzi è quello che ha a che fare con la pretesa assenza di dialogo con le controparti da parte dell’esecutivo. Sarebbe un governo, il nostro, che decide in spregio alle opposizioni, alle parti sociali, alle minoranze interne, agli studiosi, all’opinione pubblica.
Più leggo, però, di queste critiche e più mi faccio l’opinione che qui deve necessariamente esserci un problema sulla definizione di dialogo: per me il dialogo sta nel fatto che due parti si ascoltano tutto il tempo necessario, e poi alla fine si decide in qualche modo. O si trova un accordo di reciproca soddisfazione, o decide chi detiene la maggioranza o chi esercita – per ruolo o per altre ragioni – la responsabilità di decidere.
Che è esattamente quello che sta facendo questo governo, per esempio aprendo consultazioni pubbliche su molti progetti di riforma (a cominciare da #labuonascuola) o modificando radicalmente le proprie proposte in Parlamento. Penso ad esempio ai radicali interventi del Senato sulla riforma costituzionale (la proposta del governo uscì rivoluzionata da quel passaggio parlamentare) e anche alle modifiche apportate all’Italicum tra la prima lettura alla Camera e la seconda al Senato. In questo caso le modifiche erano per la maggior parte suggerite dalla minoranza del PD (dall’innalzamento della soglia per il premio alla parità di genere, alla – sebbene parziale – reintroduzione del voto di preferenza), ma non va dimenticato che il premio alla lista invece che alla coalizione era stata una modifica proposta nel famoso streaming addirittura da parte del Movimento 5 Stelle!
Quindi, il dialogo c’è, eccome. A meno che per dialogo non si intenda una cosa diversa. E cioè che dialogare significhi accettare integralmente le proposte della minoranza, o dell’opposizione o in ogni caso di qualcuno che non ha in questo momento né la responsabilità di governare né quella di farsi giudicare per le sue scelte. O che dialogo significhi che non si prende nessuna decisione fino a che i dialoganti non sono del tutto d’accordo: con l’effetto di trovarsi come in quella favola in cui fu accolto l’ultimo desiderio di Bertoldo, quello di scegliere l’albero cui sarebbe stato impiccato (e si sa che nessun albero è mai quello giusto).
Quello che qui si sta facendo è dunque dialogare, certamente, ma poi decidere. La legge elettorale ha aspettato 10 (dieci) anni per essere approvata, e questo testo è stato in lavorazione per 14 (quattordici) mesi. Il testo definitivamente approvato è il testo che è stato concordato da tutta la maggioranza (nell’unico vertice di maggioranza che si sia tenuto dalla nascita del Governo) e sottoscritto pure da Forza Italia, che lo ha votato al Senato. Nelle modifiche tra Camera e Senato, come dicevo, si è tenuto conto di osservazioni provenienti da tutte le parti: dalla minoranza PD a 5Stelle.
Il problema, diciamolo pure, non è dunque il dialogo. Il problema è la decisione. Ma se chi governa non prende delle decisioni e non se ne assume la responsabilità, che razza di governo è?