Principio di realtà
Ho seguito la discussione che ha visto protagonisti Sergio Staino e Gianni Cuperlo, con variegate opinioni di altri sull’agire, le finalità, la popolarità e i possibili risultati dell’azione della minoranza Pd. Non credo sia utile da parte mia ribadire la distanza siderale che avverto rispetto alla battaglia che gli esponenti della sinistra del Pd stanno portando avanti; continuo ad augurarmi che si possa tornare presto alla ragionevolezza e raggiungere quell’unità e quella capacità di collaborazione che fa parte, in quanto partito di governo, dei nostri inderogabili doveri verso il Paese.
Di tutti i commenti e le prese di posizione, però, ciò che mi ha davvero colpito è stata una risposta di Marcelle Padovani, giornalista di vaglia e moglie di Bruno Trentin, nell’intervista che le ha fatto Repubblica l’altro ieri. “È la realtà che è diventata renziana”, avrebbe detto, con questo mettendo in guardia dal concreto rischio che l’aperta ostilità a Matteo Renzi e il conclamato desiderio di far cadere il suo Governo consegnino l’Italia a Grillo o a Salvini.
Personalmente condivido l’azione del Presidente del Consiglio per motivi diversi; e sono anch’io come lui convinto che l’unica cosa “non di sinistra” che abbia fatto sia stato vincere le elezioni. Ma mi pare che quella battuta e la frase di Padovani colgano un senso delle cose che a mio giudizio manca nelle riflessioni di altri. E’ evidente, e sono impressionato dal fatto che questa evidenza non sia colta da persone dell’esperienza di Pierluigi Bersani o Rosy Bindi, che in Europa spiri un vento tutt’altro che favorevole alla sinistra.
La complessa e contradditoria esperienza di Syriza e l’incognita di Podemos non possono certo bilanciare la batosta dei laburisti in Gran Bretagna, l’affanno di Hollande in Francia, la permanente sudditanza dei socialdemocratici tedeschi ad Angela Merkel. Oltretutto Cameron, Sarkozy e gli altri leader del centrodestra europeo finiscono quasi per essere il male minore, incalzati come sono dalle orde populiste e antieuropee dei vari Salvini e Le Pen (ma anche, sotto più di un aspetto, di Beppe Grillo).
E se questo è il contesto politico, non sembra vada meglio sui temi classici dello scontro sociale: i partiti progressisti non sono ancora riusciti a trovare una ricetta convincente per rispondere alla crisi del welfare, la forza contrattuale del lavoro salariato si indebolisce anche in economie prospere come quella tedesca, la tempesta migratoria spezza le antiche solidarietà fra i ceti meno abbienti.
Nel suo discorso all’Assemblea nazionale di Milano, Matteo Renzi ha espresso con nettezza la sua delusione per l’afasia del Partito Socialista Europeo, per la sua assenza di azione politica. Non è forse casuale che sia stato un tema pochissimo ripreso, collocato com’è in quell’area dei “pensieri lunghi” che il nostro tempo sembra incapace di formulare.
Si può discutere molto a lungo di cosa sia “di sinistra”, e chi sia titolato a distribuirne i punti-fedeltà. Ma direi che è caratteristica consustanziale della sinistra la comprensione dello Zeitgeist, dello spirito del tempo, la lettura razionale e consapevole dei rapporti di forza che si producono all’interno della società. Mi pare – e in questo trovo esemplare la diagnosi di Marcelle Padovani – che questo principio di realtà venga ampiamente disertato da chi opera perché cada il Governo; così che anche l’eccezione italiana, di un centrosinistra riformatore saldamente alla guida di un grande Paese, venga cancellata dalla cartina geografica del Continente.