Sulla censura a Padova a Michela Marzano, il mio post per iMille.
“La bella Padova, culla delle arti”, scrive Shakespeare nella “Bisbetica domata”. E chiunque conosca un po’ la città veneta, la sua storia e quella della sua celebre Università, non può dubitare della fondatezza di questo omaggio cinquecentesco. Che in questa città si sia potuto compiere un atto ignobile come quello di negare una sala comunale per la presentazione del libro “Mamma, papà e gender” di Michela Marzano, è cosa non solo deplorevole e inammissibile, ma anche stupefacente e grottesca. E’ superfluo sottolineare come questo atto illiberale ed oscurantista desti l’indignazione di chiunque abbia a cuore i valori della democrazia e della laicità, né merita soffermarsi sull’analfabetismo di cui ha dato prova il sindaco della città Massimo Bitonci, che pure risulta essere un dottore commercialista ed è stato perfino un Senatore della Repubblica. Sarebbe tuttavia miope e parziale fermarsi a questo, o alla doverosa, fraterna e affettuosissima solidarietà che ho espresso a Michela Marzano.
E’ il caso infatti, a mio parere, di sottolineare due aspetti: innanzitutto l’attitudine ormai consolidata di una certa parte della nostra politica (e purtroppo della nostra opinione pubblica) a vivere incubi ad occhi aperti, a disegnare delle caricature della verità e ad affermarle come esistenti in modo paranoico e ossessivo. Il gender, da quelle parti, è diventato un po’ l’araba fenice della filastrocca: “che ci sia, ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Un costrutto mitico brandito on demand per le campagne e le crociate più disparate, buono per tutti gli usi, ma caratterizzato da terrore superstizioso. La difesa dei valori della famiglia non ha altro strumento o altra ambizione che la proibizione, il divieto, la sottrazione al contagio. Le sentinelle in piedi ostentano di tenere in mano un libro (non ci sono prove certe che lo leggano effettivamente), ma in realtà sono più importanti i libri da proibire, da espungere, da silenziare.
Verrebbe da dire che la “famiglia tradizionale”, qualunque cosa sia, non debba essere molto persuasa del proprio valore, se ha bisogno di oscurare e censurare qualsiasi pensiero ne metta in dubbio l’ineluttabilità; ma si tratta di un livello di raffinatezza argomentativa del tutto sovradimensionato. Probabilmente a qualche leghista trinariciuto o fratellastro d’Italia verrà prima o poi in mente di andare alle radici del problema e contestare l’insegnamento dell’analisi grammaticale, perché vi si rinviene il concetto di genere, per giunta talora modificantesi dal singolare al plurale. Per esempio queste uova che sono maschili solo da single non saranno un’istigazione occulta al transgenderismo? Qui non si tratta di generiche intolleranze, di scarsa elasticità mentale, di parrucconismo perbenista: siamo al ripudio della consapevolezza e dell’informazione come valore, all’esaltazione dell’ignoranza superstiziosa. E’ una deriva che normalmente segue una progressione geometrica: prima via certi libri, poi via i libri tout court. La patria ideale di Bitonci e dei suoi sventurati seguaci è Farenheit 451 (per chi non se ne intenda e ci veda un qualche rituale esoterico, è solo la temperatura a cui brucia la carta, che Ray Bradbury usò come titolo del suo romanzo distopico su una società che distruggeva i libri, portato poi sul grande schermo da François Truffaut). Non credo sia quella che sognano gli Italiani.
Gli Italiani, già. E i Veneti. E i Padovani. Gli abitanti di luoghi civili di una terra che è stata e per certi aspetti è ancora un faro del mondo intero. Il pantano in cui si è inabissata la destra italiana, alla quale rischiano di essere consegnati i frantumi di un certo liberalismo conservatore, è caratterizzato soprattutto dal suo antipodo rispetto alla bellezza e alla cultura che sono intrinseche all’Italia. Un antipodo che si esprime nei berci e nelle flatulenze fisiche e morali (non trovo altro modo per definire i saluti romani davanti al Sacrario della Resistenza di Piazza Maggiore), nelle intemerate idiotiche di Buonanno, nella sindaca che non stringe la mano di una concittadina dalla pelle di un colore diverso dal suo, nell’ininterrotta fiumana di odio che viene riversata nelle vene di questo Paese. Con Matteo Salvini la cui mano, quando sente parlare di cultura, corre palesemente al bordo della felpa. Barbari sì, e per nulla sognanti.