Per il rotto della cuffia
Sui social network qualcuno mi ha insultato e qualche altro mi ha criticato per la mia breve involontaria apparizione a “La gabbia”, la trasmissione di Gianluigi Paragone che ha mandato in onda il tentativo di un inviato di carpirmi al volo un’opinione su un tema di una certa complessità, ossia la possibilità di proibire alle imprese italiane di vendere armi all’Arabia Saudita, che secondo Amnesty International le userebbe sullo scacchiere mediorientale in modo contrario alle convenzioni internazionali.
Motore, azione. Esco dall’ultima direzione nazionale del PD, è tardi, sono passate le 21.30. Comincia a scendere una leggera pioggerella, la temperatura è in discesa per l’incipiente inverno romano. Sono piuttosto stanco, arrivato da Milano in volo poche ore prima. Mi accingo a incamminarmi verso casa, l’occasione di mettermi la cuffia e ascoltare un po’ di buona musica per farmi compagnia. Mentre smanetto con gli auricolari, si avvicina uno sconosciuto che sussurrando mi dice: “Mi scusi onorevole…” Mi fermo pensando sia un elettore, di quelli che ti fermano per una critica, un problema personale, a volte addirittura per un incoraggiamento. E invece no, capisco abbastanza rapidamente che si tratta di un giornalista che – più o meno testualmente – mi chiede cosa io pensi degli “aerei pieni di bombe che lasciano la Sardegna per andare a finire in Medio Oriente”.
Ho detto all’improvvisato intervistatore che secondo me non aveva particolarmente idea di quello di cui stava parlando e che comunque non avrei avuto difficoltà a rilasciargli un’intervista in ufficio quando avesse voluto. Vista la sua insistenza alla fine mi sono semplicemente limitato a completare l’azione: ho messo la cuffia e mi sono incamminato verso casa. I critici mi rimproverano di avere tenuto un atteggiamento di chiusura, contrario ai miei doveri di titolare di una funzione pubblica. L’argomento, non ozioso, è che in realtà il mio diniego di rispondere al giornalista equivarrebbe a un diniego di informazioni opposto ai cittadini, ai quali un esponente di governo deve essere sempre pronto a rispondere.
Io penso che sia vero l’esatto contrario e che fosse non solo una mia facoltà, ma un mio dovere non accettare quel tipo di interlocuzione. Mi spiego: se lo stile di intervista à la mode delle iene porta un giornalista a chiedermi in strada chi vincerà XFactor, se io beva la coca-cola liscia ovvero con ghiaccio e limone o altre consimili amenità, non mi faccio particolari problemi. Non trovo disdicevole la pratica di porre ai parlamentari quesiti di cultura generale o di tendere loro insidie sul corretto uso del congiuntivo, con l’ovvia intenzione di dileggiare i malcapitati che non sappiano rispondere. Non mi impermalisco e non trovo un abominio che l’informazione racconti le vicende della politica anche con il ricorso all’irriverenza, salvo ovviamente la possibilità per la vittima predestinata di trovare un modo intelligente per sfuggire o comunque difendersi dall’agguato. Anche banalmente decidendo di non rispondere, invece di rischiare la figuraccia – come molti scientemente decidono di fare – in cambio dell’effimera popolarità derivante da un passaggio televisivo.
L’idea però che si possa fare informazione vera raccogliendo al volo pareri improvvisati su questioni delicate e complesse, e che in particolare un membro del Governo si metta a chiacchierare per strada su una questione di questa portata, e per di più in una fase delicata come questa, mi pare però assai temeraria. Non soltanto – si badi – perché le risposte degli intervistati, in queste condizioni, hanno difficilmente il necessario tasso di ponderazione, ma anche e soprattutto perché rispondendo daremmo ad intendere all’opinione pubblica di averla informata quando evidentemente l’obiettivo non è quello di informare, ma tutt’al più quello di affermare, giocando anche sulla sorpresa, una certa tesi (possibilmente, anche se non è poi sempre così, quella di un bel “gomblotto” che di questi tempi non si nega a nessuno). Se vogliamo parlare di cose serie, facciamolo in un contesto serio. Basti vedere cosa fa Report: mai vista una loro intervista carpita per strada. Fanno domande toste e sicuramente orientate su una tesi, ma sempre tutti seduti in un ufficio con una telecamera saldamente appoggiata sulla scrivania dell’intervistato, che non è mai il primo che passa, ma è sempre la persona responsabile politicamente della vicenda di cui si tratta.
Non è il mio mestiere e non è la mia passione dare pagelle al lavoro degli altri. Non contesto quindi le scelte di Paragone e del suo inviato, né tantomeno le linee editoriali de La7 (che ha peraltro molti programmi che trovo estremamente ben fatti, ed ai quali partecipo con grande piacere se invitato). Credo solo che non tutti i linguaggi e non tutti gli approcci siano adeguati a tutti i contenuti. E che il rispetto per i cittadini si dimostri innanzitutto evitando di elargire disinvoltamente luoghi comuni e banalità a trecentosessanta gradi. Per quello c’è già Salvini, che per fortuna sua e degli italiani è saldamente all’opposizione.