6 Dicembre 2015

Potenza di un titolo

Appunti, Attualità, Diritti

Dopo aver dedicato una paginata il giorno prima all’appello delle donne di “Senonoraquando” contro la maternità surrogata, Repubblica ieri ha pubblicato una bella intervista della brava Annalisa Cuzzocrea a una madre surrogata americana. Un pezzo importante per fornire elementi di conoscenza su un fenomeno di cui tanti parlano senza avere la minima idea. Peccato che a corredo dell’intervista ci fosse un titolo che annullava completamente le buone intenzioni:

HO AFFITTATO IL MIO UTERO A UNA COPPIA DI GAY ITALIANI
MI HANNO PAGATO 20 MILA EURO
E VI DICO PERCHE’ NON MI PENTO.

Nell’intervista naturalmente nessuno (né la giornalista, ne la madre) parlava di “pentimenti” (il richiamo all’atto di dolore è immediato: “Mi pento e mi dolgo con tutto il mio cuore di tutti i miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi…”), si specificava che questa donna aveva fatto la madre surrogata anche per una coppia eterosessuale e di affitti ovviamente nemmeno a parlarne.

Risultato: chi ha letto tutta l’intervista si è fatto un’idea. I milioni di italiani che hanno soltanto sfogliato Repubblica sono rimasti con quel titolo in mano e si sono fatti tutta un’altra idea.

Oggi ritrovo la stessa intervista rilanciata da Dagospia, che pure non è propriamente un esempio di giornalismo di eleganza anglosassone, con un titolo che fa tutto un altro effetto compreso il calembour iniziale. Lo copio, perché basta leggerlo per capire esattamente cosa intendo.

HO UNITO L’UTERO AL DILETTEVOLE – PARLA UNA DONNA AMERICANA CHE HA AFFITTATO IL SUO UTERO A UNA COPPIA DI GAY ITALIANI: “MI HANNO PAGATO 20 MILA EURO MA NON AVEVO BISOGNO DI SOLDI. FARLO E’ STATO UN GESTO D’AMORE. CHI VUOLE UNA FAMIGLIA DEVE POTERLA AVERE”