I giornali di oggi aprono con l’ansia per il Front National che viaggia a gonfie vele in Francia, ma non perdono occasione di portare acqua al mulino della demagogia e dell’antipolitica nelle pagine interne. Tipo l’articolo a pagina 16 di Repubblica dal significativo titolo: “Camera ferie record. Ora 10 giorni di stop e a Natale tutti a casa. Opposizioni all’attacco”. Un raro esempio di britannico understatement.
Non c’è invece proprio nulla di cui stupirsi. Cerchiamo di spiegare: in questo periodo dell’anno le commissioni bilancio di Camera e Senato devono preparare la legge di stabilità per l’esame dell’aula, una legge fondamentale per il funzionamento del nostro Paese. Questo comporta almeno una settimana, spesso comprensiva del sabato e della domenica precedenti e successivi, di lavoro pieno – anche notturno – per l’esame degli emendamenti. E’ già successo tutti gli anni. Anche quest’anno: il mese scorso al Senato, senza che nessuno sollevasse un sopracciglio, e questa settimana è la volta della Camera, ma con pubblico scandalo.
L’aula non viene convocata perché i quarantotto componenti delle commissioni non hanno il dono dell’ubiquità. Se sono nell’aula della commissione, non possono essere in plenaria. Questo comporta che l’aula non può essere convocata per i voti perché i commissari della Bilancio non potrebbero esercitare il proprio diritto di voto: infatti la regola generale è che quando comincia l’aula tutte le commissioni sono immediatamente sconvocate. Se la Bilancio ha bisogno di lavorare senza sosta, dunque, l’aula non può essere convocata. Uno dice: si poteva almeno votare per i giudici della Corte costituzionale. Certo. A condizione di avere i componenti delle commissioni andarsene a turno dalla commissione per votare per i giudici costituzionali, bloccando i lavori dell’intera commissione, e tenendo a Roma 900 e più altri parlamentari solo per il voto per la Consulta.
Il ministro Poletti ha detto di recente giustamente che è difficile misurare il lavoro soltanto con la clessidra. Non è questo il tempo in cui il lavoro può essere considerato solo quello che si fa mettendo il proprio sedere su una sedia in un ufficio. Lavorare è anche mandare una mail a mezzanotte dalla propria camera da letto. Se questo vale per tutti i lavori, ancor più vero è per il lavoro del parlamentare. Detto con chiarezza: per un parlamentare non essere in aula, non significa non lavorare. Per dire: i parlamentari del PD lo scorso fine settimana sono stati per strada, in dicembre, per incontrare gli elettori in tutta Italia, il che è assolutamente parte integrante del loro lavoro.
Capisco bene che il parlamentare 5Stelle si relaziona con “il popolo del web” (che è come l’Araba fenice: “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”) e quindi non tiene alcun conto del radicamento col proprio territorio, ma la domanda in soldoni è questa: è più produttivo che i parlamentari che non lavorano in commissione bilancio stiano sui propri territori a fare riunioni, incontrare persone, visitare fabbriche in crisi, occuparsi dei problemi delle loro città o tenerli a Roma tutta la giornata solo per il voto per la Corte costituzionale, che è un’incombenza della durata di pochi secondi?
E’ più “vacanza” essere a disposizione dei propri elettori nella propria provincia o infilare una scheda nell’urna e poi andare a passeggio per la capitale fino al giorno dopo?