La coperta di Linus
Roberto Saviano ha rispolverato contro Maria Elena Boschi un argomento ricorrente nella pubblicistica di una certa parte della sinistra italiana: il diverso e più indulgente trattamento che verrebbe riservato a Renzi e al suo Governo rispetto a Silvio Berlusconi. Sceglie ad esempio di questo indebito favoritismo il fatto che nessuno sollevi il tema del conflitto di interessi di Maria Elena Boschi, che scaturirebbe dal fatto che suo padre è stato per alcuni mesi vicepresidente di Banca Etruria, fra gli istituti di credito fatti oggetto del cosiddetto “salva-banche”.
Luca Sofri sul suo blog afferma giustamente che in questa materia, della rigidissima separazione tra funzione pubblica e interessi privati, non si possono fare sconti a nessuno e che i governanti non possono essere mai, in nessun caso, considerati al di sopra di ogni sospetto. Sottoscrivo; e nell’esprimere la mia opinione sul tema farò ogni sforzo per dimenticare la comunanza di lavoro e l’amicizia profonda che nutro per Maria Elena, nonché la mia personale certezza della sua cristallina onestà.
Il fatto è che mi sfugge quale sia esattamente il sospetto di cui parla Sofri. Il conflitto di interessi di Berlusconi era legato alla sua diretta e personale qualità di grande imprenditore concessionario di servizi pubblici, editore notissimo, proprietario di banche, società assicurative e via discorrendo. Non mi pare che nel caso di Maria Elena, purtroppo per lei verrebbe da dire, si rinvenga una situazione di questo tipo. Non essendoci una condizione di conflitto di interessi, può esserci certamente una condotta specifica che lo inveri: ma quale sarebbe? La responsabilità ministeriale della Boschi riguarda settori lontanissimi da quelli che normano o accompagnano l’attività dei suoi famigliari; e quanto alla responsabilità collegiale di componente del Consiglio dei Ministri, è notizia di pubblico dominio la sua non partecipazione alla seduta in cui è stato approvato il decreto poi promulgato dal presidente della Repubblica.
Questo, naturalmente, senza occuparsi del fatto che non c’è stata alcuna lex specialis o trattamento di favore nei riguardi dell’istituto di credito (peraltro commissariato) in cui il papà di Maria Elena ha ricoperto ruoli di amministratore. E senza considerare che il decreto ha salvato i dipendenti e i correntisti delle quattro banche in difficoltà, ma non ne ha affatto tutelato la proprietà. Gli azionisti degli istituti di credito “salvati” hanno perso tutto il loro capitale, come era inevitabile che fosse. E nessuno pensa che vada attivato nei loro confronti quel parziale sollievo che si vuole invece accordare ai piccoli obbligazionisti. Insomma, come ho detto alle agenzie arrivando alla Leopolda venerdì, il governo ha fatto per le quattro banche in crisi l’unica cosa che c’era da fare, Boschi o non Boschi: salvaguardare le filiali, i dipendenti, i correntisti e anche gli obbligazionisti portatori di obbligazioni non subordinate, rispettando scrupolosamente la normativa europea in materia.
La vicenda ha seminato dolori e proteste, come è normale che accada quando piccoli investitori perdono i loro risparmi, anche a causa di prassi spregiudicate o poco chiare. Sono quindi pienamente d’accordo con Matteo Renzi quando sottolinea l’esigenza di andare avanti nella riforma del sistema creditizio (è stato questo Governo, lo ricordo, a portare le Banche Popolari fuori dal Medio Evo con il voto contrario di chi oggi vuole sfiduciare il ministro delle riforme), ma non mi pare che il tema del conflitto di interessi di Maria Elena Boschi sia in alcun modo sussistente.
Sarà colpa mia, ma nelle parole di Saviano non vedo insomma né gli interessi, né il conflitto. Mi chiedo piuttosto se non si tratti semplicemente di un caso di coazione a ripetere. Se cioè una certa categoria di persone, anche degnissime, non si sentano un po’ orfane di quel berlusconismo contro il quale era lecito dire tutto e il contrario di tutto. E se non si sentano in dovere di reiterare contro nuovi bersagli argomenti e comportamenti che in qualche caso erano abnormi persino nei confronti di Berlusconi. Chi ha per decenni vissuto identificandosi come il contrario di qualcun altro, sospetto che oggi si senta un po’ come Linus alla ricerca di una nuova coperta.
Chi vuole incalzare il Governo con riflessioni critiche, puntualizzazioni severe, persino accuse, è liberissimo di farlo, sia chiaro. Anzi, l’opposizione e la critica, anche durissime, non possono che essere le benvenute. Il punto è chiedersi su quali basi argomentativi si costruiscano opposizione e critiche. Giudicare in modo differente situazioni simili, in quello che Paolo Mieli chiamò il doppiopesismo, è certamente un errore concettuale da evitare; inventare similitudini fra situazioni completamente differenti per poter ritrovarsi in una situazione familiare sembra funzionale più alla difesa di una rendita di posizione che al racconto di una qualche verità. Spero che Roberto Saviano, per il quale tutti abbiamo rispetto e ammirazione, non cada vittima di questa tentazione. Non ne ha certamente bisogno.