Nella brutta vicenda di Quarto, in Campania, mi pare emergano tutte le contraddizioni e i limiti del Movimento Cinque Stelle, compresa la risposta inutile e settaria che vi è stata data sul blog di Beppe Grillo. In via preliminare non è superfluo sottolineare che chi come me chiede ai pentastellati (e ai loro esponenti di rilievo nazionale eletti in Campania, come Di Maio e Fico) di chiarire l’accaduto, non ritiene affatto che si possa bollare il M5S di Quarto come asservito alla camorra, né ha qualche dubbio sul fatto che le donne e gli uomini del movimento siano parte lesa.
Tutte le forze politiche infiltrate dalla criminalità organizzata lo sono, parti lese; perché i poteri criminali non hanno bandiere o valori. Vanno dove hanno maggiori possibilità di tutelare e valorizzare i propri specifici interessi. Il rapporto con la politica si tesse sul controllo degli appalti pubblici, sulla fabbrica clientelare del consenso, sull’opportunità di riciclare i proventi delle attività criminali. Proprio per questo non tutte le parti lese sono uguali: il loro maggiore o minore grado di correità dipende dagli strumenti che mettono in campo per prevenire le infiltrazioni, non per eradicarle dopo.
Come si prevengono le infiltrazioni? Per esempio creando politiche virtuose, costruendo iniziative come quella che viene definita il “modello Ercolano” (non molto distante da Quarto Flegreo), che tagliano l’erba sotto i piedi alla camorra. Per esempio non dicendo mai, nemmeno per scherzo, che “la mafia è meglio dello Stato” o baggianate del genere. Avendo chiaro che Piersanti Mattarella e Pio La Torre non erano “membri della Casta” ma (come Peppino Impastato, Giuseppe Fava e molti altri) eroi repubblicani.
Certo, bisogna avere il coraggio di fare pulizia al proprio interno. Questo non avviene sempre con il necessario rigore e la necessaria energia; ma non può essere basato su una “onestà” blaterata o appagata da un certificato penale immacolato. Deve formarsi attraverso valutazioni ponderate, inquadrate in norme statutarie ed interpretate da organismi formati democraticamente, non sulla base dei tardivi autodafé della rete. Qualche militante grillino, fra l’una e l’altra fatwa, cerca di liquidare l’accaduto come il frutto della presenza di una “mela marcia”. Una sciocchezza alibista e ridicola. Non stiamo parlando, come per le regionali liguri, della casuale presenza in lista di un candidato amico del figlio di un boss.
Quarto Flegreo è un Comune in cui si è andati al voto dopo lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, ed è una cittadina di quarantamila abitanti. Nessuno, nel Movimento Cinque Stelle di un centro così piccolo, conosceva le frequentazioni del consigliere Giovanni De Robbio, che i giornali definiscono “campione di preferenze”? Nessuno ha fatto giungere qualche perplessità all’orecchio di Fico e Di Maio, che naturalmente si sono impegnati nella campagna amministrativa con la solita elegia su Grillo unica luce di purezza in un mondo corrotto?
Non conosco la risposta, ma per quel che posso dire penso sia “sì”. Perché questi pasdaran dell’Union Sacrée, come in tutte le sette, sono ferocemente divisi al loro interno, e se ne vedono le conseguenze in tutte le amministrazioni che i cittadini hanno l’ingenuità di affidar loro, da Gela a Livorno. Il “dibattito estorsivo” fra il citato De Robbio e la sindaca Rosa Capuozzo si inquadra perfettamente in questo andazzo, che fa apparire la vita interna del Partito Democratico un idillio di concordia e compattezza (e ho detto tutto).
Perché succede? Semplicissimo: perché i meetup e le aggregazioni telematiche vanno bene, finché sei una banda di sfasolati buoni a fare folklore. Se un quinto o un quarto dei cittadini ti guarda con interesse, non basta più. Se vuoi mostrarti maturo per il governo senza manipolare un articolo del Financial Times, devi farlo sul duro terreno delle regole, delle cornici normative, dei controlli. Diversamente sei infiltrabile, scalabile, gestibile. Mentre continui a raccontare balle spaziali come quelle sull’onestà-onestà-onestà e quelle sull’uno che vale uno.