Nel mio post precedente, riguardante la mia missione in Iran come componente della delegazione del Governo italiano, avevo citato Emma Bonino, come simbolo di un pluridecennale impegno planetario per i diritti umani. Oggi l’agenzia giornalistica La Presse ha pubblicato un’intervista con questa donna ammirevole, realizzata da Laura Carcano. Siccome condivido completamente le sue considerazioni, poste con il senso critico, l’intelligenza e l’umiltà di sempre, mi permetto di pubblicarla qui. Non senza un “grazie, Emma”.
LPN-Bonino: Renzi in Iran? Diritti,non solo economia.Non demordere con Egitto
di Laura Carcano
Roma, 17 aprile (LaPresse) – ‘La visita di Renzi in Iran? Ha messo sul piano del confronto non solo interessi strategici, economici e geopolitici, che ci sono, ma anche le differenze che restano con quel Paese sui diritti umani. Se avessimo fatto così anche con l’Egitto e lo facessimo in modo più puntuto con l’Arabia Saudita, credo che sarebbe un dato positivo. Sul caso Regeni con il Cairo l’Italia sta tentando tutte le strade possibili: non deve demordere. In Libia, per il momento, ci sono tre governi, due parlamenti e nessuno Stato: credo che non ci sia ancora una autorità con cui si possa prendere impegni’. L’analisi sulle ultime iniziative italiane in politica estera, su più fronti, dall’Iran, alla Libia, all’Egitto anche alla luce del caso Regeni, è quella dell’ex ministro degli Esteri, Emma Bonino, intervistata da LaPresse, pochi giorni dopo la missione del presidente del Consiglio Matteo Renzi a Teheran (la prima di un capo di governo occidentale dopo l’abolizione delle sanzioni legate al dossier nucleare) e la visita del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni in Libia, la prima di un alto responsabile di un esecutivo straniero nella capitale libica, dopo l’insediamento del consiglio presidenziale con il premier designato libico Fayez el Sarraj. Una scena internazionale in cui l’Italia si muove sul piano politico e diplomatico anche verso Vienna, alla luce dell’iniziativa austriaca di erigere una barriera al Brennero, in funzione anti immigrazione. Il tutto alla vigilia di una riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea in cui, domani, si parlerà anche della situazione libica, oltre che di una proposta italiana all’Europa sulla emergenza migranti, con gli sbarchi in ripresa sulle coste del Belpaese. Emma Bonino, classe 1948, entra in politica nel 1975 e l’anno dopo viene eletta alla Camera nelle liste del Partito Radicale. Nel 1979 va al Parlamento europeo. E’ stata ministro per il commercio internazionale e per le politiche europee, Commissario Ue e anche titolare del Dicastero degli Esteri nel governo Letta. E’ stata definita da Papa Francesco ‘tra i grandi dell’Italia di oggi’ insieme a Giorgio Napolitano. La storica esponente dei Radicali ed ex ministro degli Esteri ha contribuito in maniera decisiva a costruire la politica italiana verso l’Iran. Nel 2013, proprio in veste di ministro degli Affari Esteri, si è recata in visita a Teheran.
Il premier Matteo Renzi, dopo la recente missione in Iran, ha detto che ‘la stabilità istituzionale consente oggi all’Italia di tornare a giocare un ruolo di prima fila anche nelle principali questioni di politica estera’, ricordando i punti di distanza con Teheran, a cominciare dai diritti umani, su cui l’Italia è tuttavia il primo Paese ad aver aperto un tavolo comune di confronto. Come valuta la visita del governo italiano nell’antica Persia?
C’è una attività dell’Italia in politica estera in questo momento che, comunque – va detto – c’è sempre stata. E c’è una normale attività della Farnesina. La delegazione italiana in Iran comprendeva un ministro donna e un viceministro dichiaratamente omosessuale (con il premier Renzi, c’erano a Teheran anche il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini e il sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico, Ivan Scalfarotto, ndr). E’ stata una presentazione non auto-censoria quella dell’Italia in Iran. So che la questione ‘pena di morte’ è stata toccata dal nostro primo ministro e so che promuovere la democrazia è un processo lento. Su mia iniziativa, quando andai in Iran, si tennero già delle riunioni Italia-Iran sulla pena di morte. Quello dell’Italia, con la recente visita di Renzi a Teheran, è un modo di agire che ha affrontato interessi non solo economici e geopolitici, ma anche le differenze che restano sui diritti umani. Se ci fossimo mossi così anche con l’Egitto e se lo facessimo in modo più puntuto con l’Arabia Saudita ed altri Paesi, sarebbe un fatto positivo.
Cosa pensa della situazione con l’Egitto – alla luce del caso dell’uccisione del giovane ricercatore Giulio Regeni – e delle iniziative assunte dal governo italiano?
Io penso che il caso Regeni sia il caso Egitto. Il ricercatore italiano è una delle vittime di torture efferate che sono abbastanza comuni in Egitto, come tutti sapevano, perché non è che improvvisamente i rapporti di Amnesty International ci facciano scoprire ora qualcosa di nuovo. Tutti sapevano la condizione dei diritti umani e civili in quel Paese. Il dramma della vicenda Regeni ha reso il caso egiziano più evidente. Per anni tutte le cancellerie sulla situazione egiziana non hanno aperto bocca. L’Italia sula vicenda Regeni sta tentando tutte le strade possibili: una di queste è internazionalizzare il caso e non farne solo una questione legata al ricercatore nostro connazionale. Immagino che con il richiamo dell’ambasciatore italiano dall’Egitto si stia valutando come seguire il caso. Sin dall’inizio ho pensato che sarebbe stata una cosa lunga e complicata e continuo a pensarlo. L’importante è non demordere.
L’Austria vuole erigere al Brennero una barriera per fermare il flusso di immigrati. Come stanno agendo l’Ue e l’Italia rispetto a questa presa di posizione di Vienna? C’è un modo per fermarla?
Vediamo come si sviluppano le cose. Gli strumenti che ha la Commissione europea sono giuridici e legali. Penso che gli uffici di Bruxelles stiano studiando come applicarli. L’Ue ha chiesto spiegazioni all’Austria e lunedì ci sarà un punto proprio su questo al Consiglio dei ministri degli Esteri. La decisione austriaca è sconcertante ed è molto preoccupante sul piano politico. Siamo all’Europa in cui ognuno fa da sé, siamo all’Europa dei muri e non a quella che tutti speravamo. Sono iniziative unilaterali, di chiusura, che certamente non risolvono il problema, ma lo spingono in alcuni Stati periferici.
L’Italia in tema di immigrazione propone all’Ue di accelerare sulla cooperazione con i Paesi terzi di origine e transito africani, presentando una proposta, detta ‘migration compact’, da far circolare come documento ufficioso tra i ministri degli Esteri Ue riuniti lunedì a Lussemburgo, per arginare i flussi che dopo lo stop sulla rotta dei Balcani, sono ripresi su quella del Mediterraneo. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), parla di seimila persone sbarcate sulle coste italiane in pochi giorni, che sarebbero destinate a aumentare. Come si muove il nostro governo?
Nel ‘migration compact’, la lettera che l’Italia ha mandato a Bruxelles, mi pare ci sia la consapevolezza da parte del nostro Paese che stiamo affrontando un problema quasi inestricabile fra migranti e rifugiati, un problema strutturale che starà con noi per parecchi anni. Non una emergenza che passerà con l’estate. Sempre lunedì è in programma a Lussemburgo una riunione dei ministri degli Esteri Ue, in cui verrà discussa la situazione in Libia. E sempre domani è attesa una seduta del parlamento di Tobruk per votare la fiducia al governo di unità nazionale libico guidato da el Sarraj.
L’Ue e Italia come devono porsi?
La Libia per il momento è un Paese con tre governi, due parlamenti e nessuno Stato. Per ora quindi credo che non ci sia una autorità libica con cui si possa assumere impegni. Mi pare che la pressione internazionale sia molto forte a sostegno del governo Sarraj, visto però da molti libici come un governo fantoccio imposto dall’Occidente. In realtà se non si arriva a un accordo tra i libici mi pare difficile che sia un governo sostenibile. Ma la Libia e i libici stessi, con alcuni alleati internazionali, sono ben lungi dal trovare un accordo.
Papa Francesco è tornato dall’isola greca di Lesbo con 12 profughi. Che valore ha questo gesto?
Dice ciò che questo Papa ha sempre detto e che poche diplomazie hanno ascoltato. Il Pontefice ha usato la parola ‘rispetto’. Spero che non sprecheremo tempo ed energie a polemizzare con Sua Santità, ma che la politica faccia il suo lavoro. E si metta a farlo con maggiore serietà, umanità e attenzione, rispetto alle convenzioni e alleregole internazionali che ci siamo dati.