Spirito costituente
La firma di Alfredo Reichlin è per me ragione sufficiente a leggere con attenzione un articolo. Perché ci sono cose non rottamande e non rottamabili (e Matteo Renzi è il primo a saperlo). Fra esse l’intelligenza critica e la magnifica vivacità di un ragazzo del ’25 che ha vissuto da protagonista l’intera stagione repubblicana del nostro Paese. Ho fatto così anche per la lettera che Reichlin ha inviato a Repubblica, nella quale paventa che il referendum costituzionale possa spaccare il Paese e sembra rimproverare a Matteo Renzi una tentazione plebiscitaria in un’Italia che ha invece bisogno di ritrovare ragioni di unità e di coesione.
Con tutto il rispetto, mi pare che questa posizione sia frutto delle suggestioni di una campagna mediatica tanto martellante quanto infondata. Ad ottobre si vota per una riforma costituzionale preparata ed elaborata dal Parlamento attraverso un’ampia condivisione della maggioranza di Governo e di vari settori dell’opposizione.
Una condivisione che, come Reichlin non ignora, non è stata solo teorica o convegnistica; si è espressa in un voto. Ed anche se mutate circostanze politiche hanno impedito che il voto finale contasse sulla stessa ampia maggioranza, né Renzi né Maria Elena Boschi (nella sua qualità di ministro delle Riforme) l’hanno in alcun modo modificata, proprio perché lo “spirito costituente” che ci ha mosso è quello citato da Reichlin, che indusse nemici giurati come De Gasperi e Togliatti ad approvare insieme la Carta in un contesto internazionale e nazionale gravemente lacerato.
Non è quindi la Costituzione “di Renzi”, tantomeno il provvedimento su cui Renzi intende promuovere un plebiscito. È un provvedimento qualificante dell’azione di governo, la cui bocciatura avrebbe inevitabili conseguenze politiche. Ricordo che un referendum perduto di ben minore portata sembrò a Charles De Gaulle ragione sufficiente per ritirarsi a vita privata. Ma –afferma il chiarissimo professor Zagrebelsky- dire questa ovvietà rappresenta un attentato alla democrazia, al punto che si rivolgono appelli al Capo dello Stato perché lo impedisca. Spiace che Reichlin non ritenga di dover menzionare questi ed altri isterismi che provengono dal fronte del No.
Qui mi pare ci sia il punto decisivo: non è il referendum che rischia di spaccare l’Italia, ma il tentativo di coagulare ogni tipo di opposizione, rancura, ostilità: verso il Governo, verso il Pd, verso Renzi. Le trombonate sul rischio autoritario e sull’involuzione democratica, sul regime incipiente (causato –se si capisce bene- da una legge elettorale che deve passare al vaglio della Consulta e per abrogare la quale si stanno raccogliendo firme per non so più quanti referendum) hanno ben poco a che vedere con la legittima contrarietà a una norma che, come tutte le cose umane (ivi compresa la Costituzione del 1948) può indubbiamente avere limiti e criticità.
La mia opinione è che la riforma costituzionale serva esattamente a scongiurare il rischio paventato da Reichlin: che sia, in ideale prosecuzione con la Carta di sessantotto anni fa, un modo per unire l’Italia, per rendere meno complicata e indecifrabile la struttura delle sue istituzioni, meno affollato e pletorico il suo processo legislativo, più efficiente ed efficace il suo funzionamento. Un disegno che è collegato ad un progetto riformatore ampio, che mi pare finora non abbia spaccato un bel nulla. Cosa unisce fra loro i diversi fautori del No, nella loro variopinta articolazione? All’onestà intellettuale di Reichlin la risposta.