Non mi pare una grande idea
Lo spacchettamento dei quesiti referendari è un’idea di rara inopportunità. A parte che la Costituzione dice che sono soggette a referendum “le leggi (di revisione costituzionale)” e non le loro parti, ci sono ragioni di merito che mi fanno pensare che non sia veramente il caso. Innanzi tutto perché la riforma non è un patchwork e si tiene tutta insieme, attraversata com’è nella sua interezza da pesi e contrappesi. Il Senato delle Autonomie si tiene con la revisione delle competenze tra regioni e Stato centrale, per esempio. Se non si riducono sensibilmente i poteri delle regioni, non si capisce perché si dovrebbe affidar loro anche una camera del Parlamento, per dirne una.
Ma la cosa più grave è che non abbiamo ancora finito di dire che la Brexit è stata la dimostrazione più lampante che la democrazia diretta non può essere utilizzata come la panacea e che la democrazia rappresentativa è lo strumento unico possibile per la soluzione di problemi complessi per natura e implicazioni, che ecco subito ci viene la grande idea di chiamare il voto diretto non solo sulla riforma nel suo complesso – un voto che è alla fine politico – ma su una serie più o meno lunga di quesiti super tecnici e demandare al dilemma secco tra un sì e un no anche il tema della loro interazione reciproca in tutte le varie possibili combinazioni. Un’idea geniale, non c’è che dire.