Il consociativismo che è in noi
Come succede di solito nelle trasmissioni, televisive o radiofoniche che siano, il meglio avviene sempre nei fuori onda. Ed è successo così anche questa mattina quando, alla fine della trasmissione a Radio Popolare, sono rimasto a chiacchierare qualche minuto con i due ottimi giornalisti che mi hanno intervistato, Luigi Ambrosio e Lorenza Ghidini.
In coda alla trasmissione avevo parlato del fatto che la riforma rafforza il parlamento, limitando l’uso da parte del governo di decreti legge e voti di fiducia. Lorenza ha ribattuto: “Sì, ma il governo avrà la possibilità di farsi votare i suoi disegni di legge in 70 giorni”. “Soltanto se la Camera lo vorrà”, le avevo risposto in onda. Finita la trasmissione sia Lorenza che Luigi sono tornati sul punto: “Ma come fa la Camera a non volerlo, se la Camera è espressione del partito di maggioranza, che è quello che governa?”
E lì mi si è aperto un mondo. “Eureka!”, ho mentalmente esclamato tra me e me.
Ho risposto loro, ma in realtà – finalmente – ho messo a fuoco uno, forse il principale, dei nodi del contendere.
Vi dico prima di tutto la risposta tecnica che ho dato loro: il parlamento è liberissimo di dire di no al governo tutte le volte che vuole. La spiegazione sta nel fatto che – al contrario di quello che accade con i sindaci nei comuni e di ciò che prevedeva la riforma Berlusconi bocciata nel referendum del 2006 – i parlamentari sono liberi di sfiduciare il governo e mandarlo a casa, senza rischiare la propria poltrona. Ne è la conferma quello che accadde nella XVI legislatura (208-2013), quando Berlusconi fu mandato a casa nonostante avesse vinto le elezioni avendo più di 100 seggi di vantaggio e i parlamentari eletti con lui restarono tutti al proprio posto. La legislatura arrivò al suo termine naturale. Ne è un’altra conferma l’assenza (che resta) del vincolo di mandato, per cui uno o più parlamentari eletti in maggioranza sono liberissimi di passare all’opposizione e mettere in crisi il governo (ne basteranno solo 25, essendo il premio di maggioranza di 24 seggi). E ancora di più ne sono conferma tutte le situazioni in cui il governo, come si dice, “va sotto” in aula o commissione, casi non frequentissimi ma nemmeno eccezionali nella vita parlamentare.
Ma il vero punto è che, proprio parlando con i giornalisti di Radio Popolare, proprio in quell’attimo, ho capito con chiarezza una cosa: e cioè che Luigi e Lorenza stavano provando a spiegarmi che è veramente democratico quel sistema in cui il parlamento ha come compito quello di limitare il governo. Non di sostenerlo, ma di arginarlo. Non di stimolarlo e appoggiarlo, ma di creargli degli ostacoli. In sostanza, il compito del parlamento in una democrazia sarebbe quello di mettere in difficoltà l’esecutivo che esso stesso ha espresso.
E’ il proprorzionalismo che è in noi, il consociativismo che è in noi. E’ lo spirito della prima repubblica che ha radici profonde nel nostro sistema politico e nella nostra identità politica. E’ l’idea che aver avuto 63 governi in 70 anni, in fondo, non sia stato poi così male. E’ l’idea che il governo costituisca in un certo senso un pericolo in potenza, che va sorvegliato perché non si trasformi in tirannide. Pazienza se è stato eletto democraticamente dalla maggioranza dei cittadini.
Del resto la stessa Lorenza Ghidini, durante la trasmissione, mi aveva fatto un’osservazione che mi aveva fatto anche Lilli Gruber qualche tempo fa a Otto e mezzo, e cioè che il Senato era stato un bel limite alle leggi di Berlusconi.
Un punto di vista curioso: per Berlusconi non provo alcuna simpatia, ma trovo singolare che noi della sinistra invece di provare a vincere le elezioni contro di lui abbiamo cercato strumenti per limitarne la volontà, impedendogli di fare le leggi che riteneva giuste e che i suoi elettori gli avevano dato mandato di fare. Intendiamoci: se le leggi fatte da Berlusconi erano illegali, spettava alla Corte Costituzionale deciderlo (come infatti è successo). Ma non si può pensare che le leggi che facciamo noi sono buone, quelle invece che vogliono fare gli altri quando vincono deve pensarci il Senato ad affossarle. E’ una visione abbastanza eversiva del concetto di democrazia, per cui gli unici abbastanza civili e accettabili per governare siamo noi.
Il retro pensiero è che poiché gli altri sono o cafoni arricchiti (Forza Italia) o fascisti (Lega Nord e Fratelli d’Italia) o populisti da strapazzo (M5S), se vince la sinistra ok. Se disgraziatamente, invece, la sinistra civile e per bene dovesse perdere non importa, tanto abbiamo una costituzione talmente macchinosa che i vincitori non caveranno un ragno dal buco. A ben pensarci, questo spiega anche perché in passato – coi D’Alema e coi Bersani – ci siamo impegnati così poco a vincere le elezioni.
In democrazia però non funziona così.
Dico subito che considero il Movimento 5Stelle una specie di sciagura. Un gruppo di persone mediamente incompetenti e un movimento politico dal tratto decisamente fascistoide. Però rispetto gli italiani che li votano. E penso che se vincono democraticamente hanno diritto di governare. Anzi, per essere più chiari, hanno il dovere di governare. E poi di ripresentarsi all’elettorato con la lista delle cose fatte. Voglio che loro, come noi e come chiunque governi a qualsiasi livello, non abbiano alibi.
Voglio che ci sia un sistema istituzionale efficiente che sveli le capacità o l’inettitudine di chi governa. Berlusconi ha detto per vent’anni che aveva tante belle idee, ma che non gliele hanno lasciate mettere in pratica, e con questo alibi, senza combinare nulla, ha vinto tre elezioni politiche. Ecco, questi alibi devono sparire. E al termine dei cinque anni di governo bisogna tornare dagli elettori con la lista delle cose fatte e con la lista di quelle non fatte, senza scuse. E’ un modo per rispettare davvero la democrazia e dare davvero al popolo sovrano gli elementi che gli servono per deliberare.
Non sono per nulla preoccupato per la nostra democrazia. Innanzi tutto perché stimo gli italiani come un popolo civile e dalla profonda cultura democratica. E perché so che la democrazia non si tutela solo in parlamento, ma che gli anticorpi sono presenti nella nostra società a molti livelli: la magistratura indipendente, la libera stampa, la libertà di manifestare in piazza.
Democrazia, insomma, non è un paese senza governo. La democrazia è un governo efficiente in un sistema di controlli efficaci e di libertà diffuse. Un governo che è espresso e sostenuto, non boicottato sistematicamente, dal parlamento. Il Parlamento dev’essere libero di sfiduciarlo – se necessario, e come extrema ratio – ma normalmente il governo dovrebbe trovare nel parlamento una funzione di cooperazione e di stimolo.
Una democrazia vera e moderna funziona così, e la riforma costituzionale serve a questo. Un governo stabile non è un attacco alla libertà, un governo stabile è semplicemente lo strumento di direzione politica di un paese. Se non ce l’hai non puoi che navigare a vista. In fondo basterebbe chiedersi perché i grandi paesi hanno governi stabili e quale prezzo l’Italia abbia pagato per non averli avuti, in termini di prestigio e credibilità internazionale e anche di efficacia nell’azione politica ed economica. Quello è il prezzo che continueremo a pagare se la riforma non sarà confermata dal voto popolare.