Cazzullo intervista D’Alema. Perché?
Marcel Achard, insigne commediografo francese del secolo scorso, diceva di avere ricevuto la più breve critica della sua carriera – si rappresentava una sua pièce del 1932 – in un articolo che diceva testualmente: “Ieri al teatro è stata rappresentata ‘Domino’. Perché?”
Mi è venuto di pensare che questa stessa recensione sarebbe perfetta per commentare l’intervista che Aldo Cazzullo ha fatto a Massimo D’Alema pubblicata oggi dal Corriere della Sera. Perché? Perché il più grande giornale italiano si presta, con una delle sue firme più intelligenti e godibili, a dar voce agli inesausti rancori di un uomo che, avendo costruito nei suoi diversi partiti un cursus honorum di tutto rispetto ed una longevità politica infrequente in ambito europeo, ha dedicato la parte più rimarchevole del suo operato alla devastazione di quegli stessi partiti e delle coalizioni a cui essi partecipavano?
Vero è che la cifra stilistica con cui Cazzullo conduce il colloquio è palesemente ironica, in qualche caso sarcastica: ma D’Alema non mostra di rendersene conto, arrivando ad usare nei confronti di Renzi un’espressione (con lui non vinceremo mai) che fu coniata proprio per lui da Nanni Moretti sul palco di Piazza Navona quattordici anni fa.
Lasciamo pure perdere l’argomento ritorsivo sulla obiettiva difficoltà di accettare lezioni di sintonia con il popolo da parte di uno che, dopo avere minato alla radice la vittoria elettorale dell’Ulivo nel 1996, ha preso un buon numero di scoppole. Il gagliardo D’Alema è pronto ad indicarci cosa fare. Si deve innanzitutto ricostruire un “campo progressista” che ha caratteristiche assai indefinite, se non il prerequisito di non comprendere Renzi, le idee di Renzi, le persone che guardano a Renzi, e naturalmente coloro che (cfr. Giuliano Pisapia) guardano a Renzi come interlocutore.
L’impressione è che D’Alema, forse vittima della coazione a ripetere, si appresti a scoprire l’anima popolana e popolare del Movimento Cinque Stelle, come a suo tempo scoprì quella della Lega. Peccato che non sia emersa, almeno finora, una qualche intenzione, da parte degli efficienti populisti, di considerarlo non dico un alleato, ma anche solo uno con cui parlare. O da stare a sentire.
Il fatto è che, ad onta delle presuntuose lezioncine su come riconquistare il favore e il consenso dei più giovani (tema gigantesco per tutta la sinistra dell’Europa e dell’Occidente), il caro D’Alema è nell’età in cui i partiti non si fondano, ma si presiedono, e spesso con una presidenza onoraria. A quanto pare, l’unico a non saperlo è lui.