Ascoltare Emiliano e votare per Grillo
Non voglio annoiare i miei lettori con i molti motivi di dissenso che ho nei confronti di alcuni dirigenti del mio partito e delle loro posizioni (il plurale è d’obbligo, perché finora non mi è capitato di vedere un solo esponente della mitologica minoranza dem che dica la stessa cosa di un altro). Credo però che un piccolo ripasso dei fondamentali gioverebbe in particolare a Michele Emiliano.
Non metto in questione il diritto di Emiliano e di chiunque altro a dissentire aspramente dal segretario del partito, tantomeno quello di contendergli la premiership nelle prossime possibili primarie. Checché ne dicano detrattori più o meno interessati, il Partito Democratico è contendibile (diversamente non sarebbe tale); Matteo Renzi e chi come me lo segue da tempo si sono battuti da minoranza fino alla conquista del primato. Non c’è alcuna ragione per cui Emiliano, Speranza, Rossi o altri non possano fare altrettanto.
Però, est modus in rebus. La demonizzazione dell’avversario, già improvvida in una competizione elettorale, è semplicemente idiota in una competizione interna. Quando Emiliano (come ha fatto di recente nell’intervista a Radio24) dipinge il Governo Renzi come un’unica sommatoria di fallimenti, e sostiene che i libri di storia lo dipingeranno come il peggiore esecutivo del secolo, propone un terreno di ingaggio impraticabile. Non bisogna essere dei geni della politica per comprendere che è suicida presentarsi agli elettori dicendo: siccome il PD ha combinato il più grande disastro che si potesse immaginare, vi invito a votare PD (sottotitolo: perché ora ci sono io).
La vicenda dei tre anni di governo di Matteo Renzi, che è oggi proseguita esplicitamente ed orgogliosamente dal Governo Gentiloni, non è stata la corsa solitaria di un pazzo, il delirio di un uomo solo al comando: è stata, ed è lo sforzo riformista compiuto da una classe dirigente nel suo insieme, in adempimento ad un mandato statutario e politico. Ed in questa classe dirigente c’è stato l’intero Partito Democratico, con le sue diverse sensibilità e sfumature d’approccio.
Per convincersene basta ripensare a Fassina o a Civati o a D’Attorre, che proprio per l’impossibilità di riconoscersi in quella esperienza hanno legittimamente preferito altre strade. Ma i cinquanta voti di fiducia che Roberto Speranza ricordava recentemente di avere espresso per l’esecutivo sono la prova eloquente che, malgrado profondissime incomprensioni e divergenze ai limiti della rottura su alcuni punti specifici, il Partito Democratico ha condiviso oneri ed onori della responsabilità di guidare il Paese.
Capisco che questa condivisione fosse più facile al momento di prendere gli applausi che in quello in cui arrivano i fischi; ma questo non muta la sostanza delle cose. Travestirsi da oppositore, ritenere che un congresso (che deve discutere, approfondire, se del caso correggere e rivedere programmi ed assetti) consista nella lotta di liberazione del partito fa più PCUS, più Rivoluzione Culturale maoista che vita interna di un partito in una democrazia occidentale.
È chiaro che una contrapposizione così aspra e radicale, oltre ad essere incivile e ridicola (nel 2015 Emiliano ha chiesto i voti dei pugliesi come segretario regionale dello stesso partito di Renzi) rende inverosimile, quale che sia l’esito, la successiva convivenza nella stessa comunità politica.
Del resto non si ricorda una sola dichiarazione di Emiliano né contro i 5Stelle (di cui pare essere grande sostenitore, tanto che ha provato a donar loro, che non li volevano, tre assessorati appena eletto), né contro la destra (il cui principale esponente in Puglia, il candidato opposto a Emiliano alle regionali, è diventato alla fine l’assessore-ombra alla Sanità – “ombra” solo perché Emiliano oltre a essere in prima persona 1. magistrato e 2. presidente di regione è anche, ovviamente, 3. assessore alla Sanità). L’unica lotta politica nella quale Emiliano è impegnato, insomma, è quella contro il Pd. Dopo averlo ascoltato, qualsiasi elettore che ne sia stato convinto non può far altro che votare coerentemente per Grillo.
Il Partito non è un territorio occupato da invasori che vanno cacciati con le tecniche della guerriglia, tanto più fingendo di essere appena arrivati da Marte e dimostrando una profonda ignoranza dello Statuto. Il Partito andrebbe difeso e servito con dignità ed integrità, come fanno in tanti lavorando e presidiando efficacemente la propria area di responsabilità istituzionale, caro Michele. Come hanno fatto Matteo Renzi, e prima di lui Guglielmo Epifani, Pierluigi Bersani, Dario Franceschini e Walter Veltroni. Per fare il segretario del PD, non è richiesta una grande profondità dello spirito per comprenderlo, sarebbe consigliabile per prima cosa evitare di distruggere il PD (con opere e omissioni).