A casa loro
Argomenti ad alta temperatura emotiva come la gestione dei flussi migratori non aiutano una discussione e un confronto basati sulla cognizione di causa. Tuttavia sono decisamente stupito della singolare tempesta basata sulle affermazioni di Matteo Renzi sull’argomento, anche al netto degli equivoci più o meno interessati.
Il segretario del Partito Democratico sostiene non da oggi la necessità di passare, nei confronti dei flussi migratori, da un atteggiamento esclusivamente reattivo ad uno proattivo. Detto in altri termini, di non limitarsi a gestire gli effetti, ma provare a lavorare sulle cause.
È triste che i partner europei si trincerino dietro la sfumatura causidica fra richiedenti asilo e migranti economici, quasi che chi fugge da fame, carestia e pestilenze sia equiparabile ad uno in cerca dei filoni auriferi del Klondike. Ma trattati e convenienze danno loro ragione, e questo, unito alla mancanza di un’entità statuale in Libia, espone un Paese frontaliero come l’Italia ad affrontare da solo una burrasca ampiamente soverchiante rispetto alle sue possibilità.
Abbiamo tuttavia mantenuto i nervi saldi, tessuto un dialogo importante ed apprezzato fra il Ministro degli Interni e le Regioni e i Comuni italiani, avviato i rimpatri, limitato e controllato nella maggior misura possibile i fenomeni di intolleranza e di razzismo, così esplicitamente e palesemente incoraggiati dalle destre di Salvini e di Grillo.
Nel frattempo abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere che sia vitale aiutare anche le realtà da cui queste persone arrivano. “Aiutarli a casa loro” – certamente non per esprimere un accordo con uno come Salvini, il leader di un partito che al Governo ha sostanzialmente azzerato la cooperazione internazionale, né con uno come Di Battista nelle sue fumose analisi terzomondiste – nel senso di operare con l’azione concreta di un governo che ha ribaltato la direzione di marcia del nostro Paese sull’argomento.
Non è un caso che sia del 2014 la legge sulla cooperazione internazionale, che ha moltiplicato i fondi, istituito l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e ridenominato il Ministero degli Affari Esteri aggiungendo al suo stesso nome la Cooperazione Internazionale.
Perché “aiutarli a casa loro” significa indirizzare risorse significative verso i Paesi africani, rinunciare al loro sfruttamento selvaggio e fare in modo che quelle somme siano impiegate davvero a beneficio delle popolazioni. Si badi, non è soltanto una questione di nostre convenienze tattiche, un modo per risolvere il problema di chi bussa con insistenza ai nostri porti e alle nostre coste. È anche nostro dovere morale, non meno cogente di quello dell’accoglienza possibile.
Perché non tutti coloro che soffrono la fame hanno la possibilità di partire: e per ogni giovane uomo o (più raramente) giovane donna che attraversa il Mediterraneo fra stenti e sevizie ce ne sono tanti altri che non sono partiti o non hanno potuto partire (perché anziani, o disabili o privi anche della possibilità economica di pagarsi il viaggio). Possiamo continuare a dirci umani dimenticandoli o disinteressandocene?
Per questo mi pare lunare che qualcuno storca il naso di fronte al fatto che Matteo Renzi chieda al Governo di affrontare a brutto muso i partner europei perché la smettano di fare spallucce sull’argomento e perché ci si impegni ad intervenire sul caos libico e si vari quel “Piano Marshall per l’Africa”, come si chiama ora quel migration compact che il Governo Renzi propose nell’aprile 2016 (altro che prese di posizione estemporanee!).
Quanto all’idea che con questa sacrosanta e lineare politica il Pd e Matteo Renzi strizzino l’occhio a Matteo Salvini, mi pare davvero incommentabile: noi siamo il partito dello ius soli. Di più, siamo il partito che ha premuto sull’acceleratore per l’iter dello ius soli respingendo gli ammonimenti di chi ci invitava a parlarne dopo le amministrative.
Questo tema – dicono gli analisti – ha pesato molto nell’esito delle Comunali di giugno, certamente in misura superiore ai ponderosi editoriali sulle alleanze. Ma ci sono delle battaglie che si devono fare anche correndo il rischio dell’impopolarità. Proprio noi che abbiamo pagato questo prezzo saremmo ora presi dal desiderio di lisciare il pelo all’intolleranza e al criptorazzismo che purtroppo si desta nel Paese?
E dovremmo per questo essere bacchettati da chi, anche di fronte all’evidenza, continua a parlare di un’identità moderata o addirittura progressista di chi sullo ius soli vota contro? La situazione – direbbe Flaiano – è tragica, ma non è seria.