Per azzuffarsi bisogna essere (almeno) in due
Ha ragione Michele Serra, nella sua amaca di oggi. E la conseguenza di quello che scrive è che la fine della sinistra non significa altro che lasciare il campo al trionfo della peggiore destra, che si declini nella sua versione razzista o in quella populista poco cambia.
Quello che Serra però non dice è che le due anime della sinistra non sono per nulla prese in una rissa, ma la realtà è che c’è una delle due anime (quella “virtuosa ma spocchiosa”, secondo la definizione di Serra) che è impegnata in un’aggressione sistematica nei confronti dell’altra. Minniti che è uno “sbirro”, l’alleanza in Sicilia che non si può fare nemmeno su un candidato espresso da Leoluca Orlando – uno che era in piazza con Bersani e Pisapia – non sono in nessun caso l’espressione di una zuffa, ma quella di un attacco unilaterale di una parte verso l’altra e dell’adozione del cupio dissolvi come lungimirante strategia politica.
Quanto alla definizione di “realisti ma compromessi” che ci viene riservata, mi permetto di rifiutarla con cortesia ma con assoluta fermezza. Compromessi una beatissima cippa, insomma. Salvo non si voglia pensare alla parola come sostantivo e non come aggettivo. Pensare di far politica senza compromessi, cioè senza provare a trovare soluzioni condivise, è utopia ed esprime una visione totalitaria della decisione politica.
Lo scrisse bene Amos Oz: “Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte.” Non capirlo non è sintomo di virtù ma di quell’inestinguibile vocazione al minoritarismo e alla sconfitta che ha caratterizzato la sinistra italiana per troppo tempo è che ancora oggi ne costituisce la sua cronica malattia.