Il Governo del pre-esistente
Non commenterò la decisione del presidente Grasso di lasciare il gruppo parlamentare del Pd (alle cui attività, peraltro, giustamente non prendeva parte) a Palazzo Madama. Mi spinge a farlo quel garbo istituzionale che forse lo stesso presidente del Senato avrebbe potuto tenere in miglior considerazione.
Si sa comunque che abbiamo un galateo politico a geometria variabile, in base al quale il Pd compie un atto di lesa maestà se esprime un giudizio su come sono andate le cose nel settore bancario, mentre ad altri è dato minacciare impunemente ed impudentemente il presidente della Repubblica.
È indubbio che l’assalto concentrico dei poteri forti, del sistema mediatico e di buona parte del mondo politico, che si sta manifestando con particolare virulenza abbia come nemico assoluto Matteo Renzi. Solo gli sciocchi possono ritenere che questo sia davvero dovuto alla personalità e al carattere del segretario del Partito Democratico, che peraltro sta tenendo condotte persino inusuali quanto a mitezza e disponibilità.
In realtà colpire ed abbattere Matteo Renzi è il passaggio obbligato per sconfiggere non solo una piattaforma riformista che ha operato con rara efficienza ed efficacia negli ultimi tre anni, ma anche il tentativo di resurrezione e rilegittimazione della politica che ha caratterizzato il governo dei millegiorni e caratterizza oggi l’azione di Paolo Gentiloni.
Perché ci si scatena con tanta veemenza contro una legge elettorale di impianto mitemente proporzionale? Perché dà una chance alla governabilità; quella governabilità che, votando con gli esiti del lavoro di taglio e cucito della Corte Costituzionale, non ne avrebbe avuta alcuna. È questo, non le varie bolse stoltezze sui “nominati” e sul voto disgiunto, a tarantolare i vari editorialisti sempre più filogrillini.
Perché temono le larghe intese? Niente affatto. La nuova legge elettorale, come spiegano gli analisti, dà chance di successo pieno ad una forza o un’aggregazione di forze che conquisti il 36-38% dei suffragi: obiettivo alla portata del campo riformatore imperniato sul Pd, del centrodestra ed anche del Movimento Cinque Stelle. Ipotesi del tutto irrealizzabile con il Consultellum.
Il punto è proprio questo. La scommessa è quella di raggiungere l’obiettivo enunciato da Massimo D’Alema nell’ultima delle sue innumerevoli interviste al Corriere della Sera: costruire un Parlamento balcanizzato e ingovernabile, che aprirebbe la strada a quello che viene chiamato il “Governo del presidente”. Che naturalmente, per reggersi in modo costituzionalmente corretto, dovrebbe essere votato sia dal Pd che dal centrodestra, almeno in buona parte.
Qual è la differenza con le larghe intese? La stessa che c’è stata -e si è vista- fra il Governo Monti e il Governo Renzi, che avevano –mutatis mutandis- maggioranze parlamentari molto simili. Il commissariamento della politica, la sua tenuta sotto scacco e la sua messa nell’angolo, con un Governo affidato a “uomini probi” che potrebbero soltanto attestarsi in trincea a difesa dei conti pubblici. Non potrebbero, anche volendo, compiere scelte che –come i celebri 80 euro- hanno bisogno della politica e dei suoi sistemi valoriali.
Non sarebbe un Governo del presidente, ma un Governo del pre-esistente: il ritorno ad una esperienza che ci ha lasciato un calo del Pil del 2%, normative sul welfare all’insegna del lacrime e sangue, un presunto europeismo schiacciato sull’austerity tedesca e –in una parola- la troika, per interposta persona o senza filtri.
La strategia descritta, naturalmente, non ha niente di complottista o golpista, benché sia facile supporre che siano molti, in Italia e non solo, a non vedere di buon occhio la ripresa italiana e la sua relativa “indisciplina”.
È un disegno caratterizzato dall’eterogenesi dei fini wundtiana: vi concorrono sfascisti di vario conio, che sperano di consolidare sul prevedibile malcontento le proprie rendite di posizione; i poteri forti che, nel gioco dei vasi comunicanti, hanno tutto da guadagnare dalla politica nel ruolo di vaso di coccio; certamente anche speculatori finanziari di diverso taglio ed importanza, a cominciare dai vulture fund che abbiamo imparato a conoscere in occasione della crisi greca.
La legge elettorale è un piccolo (speriamo abbastanza robusto, speriamo abbastanza efficiente) bastone fra le ruote di tutti costoro, che per amara beffa sono sostenuti da una rilevante quota di opinione pubblica. Una ragione di per sé sola sufficiente a considerare la sua approvazione un’ottima notizia.