Il tricameralismo di Fraccaro
Non c’è che dire, la storia presenta a volte aspetti beffardi. Un pensiero che mi è spuntato leggendo l’intervista al ministro per i Rapporti con il Parlamento e per la Democrazia Diretta (giacché c’erano, potevano anche nominarlo ministro degli unicorni e dei Puffi, per par condicio fra cose inesistenti), che compare oggi sul Messaggero.
In questa intervista il neoministro teorizza non solo cose già presenti nella riforma costituzionale che ha con successo avversato (per esempio, l’obbligo delle Camere di discutere entro una data fissa le proposte di legge di iniziativa popolare o la cauta introduzione di referendum propositivi o la mitigazione condizionata del quorum di partecipazione) ma anche interventi più hard: l’abolizione sic et simpliciter del quorum e addirittura l’obbligo di referendum confermativo di tutti i trattati internazionali.
Le tesi del ministro Fraccaro sono perfette per capire la radicale incompatibilità fra il quadrante valoriale dei Cinque Stelle e quello della nostra democrazia, così come organizzata dalla nostra Costituzione. A cosa ci porterebbe, infatti, l’adesione alle sue idee? Cosa succederebbe se le revisioni costituzionali proposte venissero accolte? Saremmo in un mostruoso sistema “tricamerale”, in cui al lavoro delle due camere si contrapporrebbe e sostituirebbe il corpo elettorale, o più precisamente una frazione di esso.
Il lavoro di questa terza “Camera” sarebbe oltretutto privo di contrappesi: un referendum propositivo su una norma, in caso di successo, ne decreterebbe l’inserimento nell’ordinamento senza alcun requisito di armonia o di sistematicità, e senza che il Parlamento eletto possa avere voce in capitolo.
L’ipotesi che questo strumento truffaldino e demagogico possa essere esteso ai trattati internazionali urta inoltre contro una considerazione elementare: i trattati si chiamano così perché sono il frutto di una trattativa. Sono pensati nel segno del reciproco vantaggio e del compromesso fra entità diverse, e hanno una forma particolarmente solenne perché sono concepiti come duraturi. Se potessero essere stracciati con un tratto di penna a seguito di un capriccioso e momentaneo orientamento dell’elettorato, quale affidamento potrebbero mai dare? E quale credibilità negoziale potrebbe avere al tavolo delle trattative chi li adotta sub iudice?
Per ragioni di indulgenza, tendo a pensare che il ministro Fraccaro non sappia quel che dice e tiri fuori parole un po’ a caso. Ove si ritenesse che invece lo sappia e lo intenda, dovremmo concludere che il “diretta” che compare nell’etichetta (vuota) del suo Dicastero non è un aggettivo, bensì un participio passato.