1 Settembre 2005

Stasera a Milano

Archivio storico

I tempi della campagna sono veramente ristretti: sto correndo una maratona coi ritmi dei 100 metri.
A proposito di corse, ho appena deciso di correre in piazza: sarò stasera a Milano dalle 19 alle 20 in Piazza Argentina a raccogliere le firme.
Ci vediamo?

22 risposte a “Stasera a Milano”

  1. davide ha detto:

    ottime le proposte.
    Sono assolutamente d’accordo sull’idea che le difficoltà della scuola italiana siano dovute quasi esclusivaente a carenze organizzative ed alla scarsa valorizzazione del capitale umano.
    Credo però che bisognerebbe riportare l’attenzione sugli alunni, e far comprendere il valore personale che la conoscenza ha per ciascuno. Sono convinto che in italia manchi uno strumento fondamentale di verifica delle effettive capacità degli alunni a livello nazionale, che garantisca eguaglianza di preparazione. Mi sembra sia emerso (é agghiacciante) da alcune statistiche tra le varie che vengono compilate sulla scuola italiana (“Fare i conti con la scuola”, Marta Foresti su LaVoce.info), che vi è una forte differenza di conoscenza, a parità di voto, tra alunni di diverse regioni (in particolare tra sud e nord). Sarebbe necessario introdurre un tipo di prova, che non abbia valore legale nè curriculare per gli alunni, ma che costituisca una valutazione in valore assoluto, in maniera da permettere confronti su basi certe. La prova potrebbe riguardare anche solo le materie scientifiche e l’inglese (che tra l’altro sono i campi in cui siamo meno preparati rispetto ai ragazzi europei).
    Infine vorrei chiedere se, secondo l’autrice, siano necessari strumenti per l’eventuale licenziamento di professori che non preparano sufficietemente gli alunni.

    grazie

  2. emanuela ha detto:

    Per il mio primo intervento lampo rispondo a Francesca. Condivido pienamente. Ho insegnato – con contratti di collaborazione – e ho fatto per 2 anni (pagando le tasse) la ssis a Milano – per lo più inutile, poco professionalizzante, con un grande spreco di tempo e di risorse, scarso rilievo dato ai tirocini e in sede di valutazione alle effettive competenze acquisite, con un ulteriore appiattimento in uscita per cui alla fine l’unica vera selezione è il test per accedere alla scuola -. Sono docente di filosofia e storia (senza cattedra), ho una borsa di studio italiana per un programma di Dottorato europeo all’estero (che mi permette di continuare a studiare per ora) e sono tutor per gli studenti della laurea triennale. Il primo problema, che credo esista a tutti i livelli – inclusa la riforma universitaria che riguarda i ricercatori, ma non è di questo che voglio parlare – è che al termine di una scuola di specializzazione sei docente abilitato, ma non hai la cattedra. Questo è assurdo. Secondo è assolutamente vero che dopo la laurea, anche a pieni voti, serve un percorso di tirocinio (anche di soli sei mesi, con valutazione, etc., con orario ridotto, per permettere un percorso formativo parallelo). Per quanto riguarda la docenza nelle scuole questo percorso deve essere costruito insieme ad un docente tutor, il quale deve poter quindi a sua volta disporre di spazi di aggiornamento – reale e qualificato, non come ora -. Con questo sistema si esaspera chi ha deciso di fare questo mestiere con competenza e passione. Non posso entrare ora in merito alla questione che è complessa e richiederebbe ben altri spazi. Per altro Francesca già in parte lo fa con precisione e chiarezza di intenti. Se vogliamo dare un ruolo politico alla società civile in questo Paese, questo è uno uno dei punti da affrontare con decisione. Ricordo solo, così per inciso, che alcune delle cose migliori delle ultime riforme di questi anni non sono state portate avanti perchè bocciate in sede di finanziamento. Altre per interessi e pressioni di chi non vuole una scuola qualificata e professionalmente motivata.
    Ciao a tutti
    emanuela

  3. emanuela ha detto:

    Ancora più brevemente mi permetto di rispondere a Davide:
    a) non esistono prove di valore assoluto (se lo sono, e non lo sono, quelle che si chiamano prove oggettive, hanno un valore limitato).
    b) sono d’accordo che la scuola e l’Università – soprattutto – non danno gli strumenti necessari per acquisire un buon livello in una o due lingue straniere, cosa oramai indispensabile, ma non è con un test di valutazione che si risolve il problema. E poi a volte i ragazzi arrivano all’Università ed il problema non è l’inglese, ma l’italiano…
    c) credo che si debba eliminare il concetto di precarietà come è inteso oggi – precarietà e flessibilità non sono la stessa cosa – mentre occorre:

    1) introdurre criteri di selezione e di formazione reali
    2) prevedere momenti di verifica della propria professionalità.

    Su quest’ultimo punto per quanto riguarda la docenza universitaria ci sono le pubblicazioni – o dovrebbero esserci!!! -. Sei ricercatore da 10 anni? Bene, che cosa hai prodotto in questo arco di tempo? Per quanto riguarda la docenza nelle scuole il problema della valutazione è più delicato, ma certamente è possibile affrontarlo. Ci sono molti modi per valutare un docente: a) attraverso la verifica di un aggiornamento continuo – ma prima bisogna crearne le condizioni – b) attraverso la valutazione dei colleghi e del Dirigente scolastico, nonchè di figure professionali esterne. In questo senso mi piacerebbe che ci fosse un rapporto tra i diversi gradi della scuola – come auspica Francesca – ma – e questo credo sia ancora più auspicabile – tra la scuola e l’Università.

    Grazie
    emanuela

  4. Anonymous ha detto:

    quando parlavo di struenti di valutazione, mi riferivo principalente al valutabile.. capacità di affrontare un problema ecc..
    credo che qualche strumento di valutazione esista- non conosco i dettagli e non sono un esperto dell’argomento in generale. Ne parlo come ex-diretto interessato, adesso laureando. mi sono reso conto di quanto avrei dovuto studiare in più, pur avendo ottenuto buoni risultati a scuola..

    dal post de lavoce.info citato precedentemente_

    Programme for International Student Assesment (Pisa) è una delle indagini più ampie e articolate dell’Ocse, avviata nel 2000 a cadenza triennale e con la partecipazione di oltre quarantacinque paesi. I test di Pisa, che nel 2003 sono stati somministrati a oltre 11mila quindicenni italiani, forniscono valutazioni statisticamente rappresentative non solo per le cinque macro-aree del paese e i tre tipi di scuola secondaria (licei, istituti tecnici, istituti professionali), ma anche per sei regioni singole (tutte del Centro-Nord) che hanno contribuito all’indagine con un ampliamento del campione. In Italia l’indagine è condotta dal Miur e dall’Invalsi. Per maggiori informazioni su Pisa http://www.pisa.oecd.org/.
    (2) Nella scala della matematica sono sei i livelli di competenza. In termini statistici, uno studente appartiene a un dato livello se ci si può aspettare che risponda correttamente, in media, al 62 per cento delle domande di quel livello. Il minimo livello di competenza è il primo e parte dal punteggio 358: coloro che hanno avuto assegnato un punteggio inferiore sono classificati “sotto il livello 1” e sono stati incapaci di utilizzare le loro limitate conoscenze in matematica per risolvere anche i più facili quesiti di Pisa.

    forse un tipo di valutazione come questo potrebbe anche incidere sulla valutazione dei professori (nell’articolo si deduce che la differenza di preparazione è solo in parte riconducibile al contesto socioeconomico)

    ciao
    dv

  5. Emanuela ha detto:

    Appunto, le prove oggettive – ma attenzione che cosa stiamo valutando? E’ quantomeno azzardato far coincidere la valutazione dell’allievo con la valutazione del docente -. Queste prove possono essere utili in alcuni casi. Ma ovviamente io, mentre ti rispondevo, pensavo alla mia materia. Che non si valuta con un test a risposte multiple o incrociate o chiuse, perchè di questo stiamo parlando. Se ti sottopongo una questione da discutere e da argomentare, questa non è più una prova oggettiva. Dove per prova oggettiva si intende quella prova che dà un risultato matematico sempre uguale, che può essere dato anche da un computer. Quindi per valutare capacità critiche, logiche, argomentative, servono strumenti più complessi di quelli predisposti dall’Invalsi.
    Detto questo, queste prove hanno certamente il loro valore. Ma, vedi, ogni classe, ogni studente è una storia a sè. Un ragazzo che prendi in I e all’inizio dell’anno ha un apprendimento puramente meccanico, non rasenta neppure la sufficienza, e alla fine dell’anno riesci a portarlo ad un minimo di capacità di elaborazione, questo è un successo. Anche se il risultato di per sè non è eccelso. Ci sono poi tempi di maturazione diversi per ciascuno. Che cosa valuti allora? Se hai uno studente albanese che è in Italia da 5 mesi e certamente con la filosofia fa un pò fatica, ma alla fine riesci comunque a vedere dei progressi, a volte notevoli, che cosa valuti? Il risultato o il processo? Vedi non è una cosa così semplice. No, la valutazione non può essere fatta semplicemente prendendo il risultato finale di uno studente. E tantomeno questa valutazione può diventare da sola criterio di giudizio del lavoro di un docente. Invece la valutazione deve essere fatta da altri docenti che abbiano una conoscenza del contesto in cui si trovano a valutare e della sua complessità – come il docente interagisce con gli allievi, i progressi che ha ottenuto nei diversi livelli di apprendimento e in un arco di tempo sufficiente per poter avere dei risultati -.
    Questo, ripeto, nulla toglie al valore delle prove statistiche e quantitative. Che però non sono nulla di più di un mero indicatore di alcune abilità cognitive – in questo caso prevalentemente se non esclusivamente matematiche e linguistiche -. Evidentemente la questione è più complessa e quindi va affrontata in un modo adeguato con altri strumenti.
    La Riforma prevedeva e prevede la figura del tutor, ma non ne prevede una forma di riconoscimento professionale – ore in più di lavoro, ma senza stipendio, senza formazione etc. -. Nè tantomeno è chiara sulle sue funzioni. Ora questa figura dovrebbe essere quel docente che, opportunamente formato, è in grado di gestire e valutare i tirocinanti, in collaborazione con l’Università, di conoscere la storia della classe quindi di collaborare con gli ispettori esterni.

    Quindi:
    1) i risultati dell’Invalsi hanno un valore indicativo per il docente e non sul docente.
    2) la valutazione del lavoro del docente è invece un atto complesso che richiede la partecipazione di più soggetti in un arco di tempo che non può essere inferiore ad un anno – il Dirigente Scolastico, il Docente Tutor, il Coordinatore della classe(anche qui: non c’è un riconoscimento formale di questa funzione), l’ispettore esterno -.
    Non so se ho risposto alla tua mail davide, non ho sottomano tutti i decreti e i documenti relativi alla questione, anche perchè adesso sono alle prese..con le pratiche burocratiche del dottorato e quindi ti rispondo un pò sommariamente. Però certamente questa della valutazione è una delle questioni che deve essere affrontata con il giusto equilibrio e competenza all’interno di una riforma senz’altro da rivedere e migliorare.

    cordialmente
    emanuela

  6. Riccardo da parigi ha detto:

    Cari davide ed emanuela,

    vorrei dire giusto due cose sulla faccenda della valutazioni degli studenti.

    E’ vero che per molti aspetti non esistono “quiz” che possano risolvere la questione e che le capacità di ragionamento (non solo filosofico) non sono oggettive. Pero’ credo anche che bisogna avere nel sistema educativo una “scala di meriti”, ovvero un modo per distinguere il livello scolastico degli studenti, sia al livello puramente cognitivo che delle capacità argomentative. Perché lo studente che prendi da zero e che fa anche progressi e non arriva al livello di altri non puo’ poi essere equiparato agli altri che sono comunque migliori, altrimenti si fa un’ingiustizia verso i più meritevoli.

    Per lanciare una provocazione, occupandosi sempre di pensare ai miglioramenti dei più scarsi (per dargli poi un diploma equivalente ai migliori o semplicemente ai normali) si elimina ogni criterio di merito. E questo poi si riflette nel mondo del lavoro: qui infatti da molto tempo (e a tutti i livelli sia pubblico che privato) non conta il titolo di studio né i voti riportati ma le “buone amicizie e parentele”.

    La meritocrazia parte dal basso e deve partire proprio dalla scuola.

    cordialmente,
    riccardo

  7. Francesca ha detto:

    Sono d’accordo con Emanuela a proposito della valutazione degli insegnanti. Grazie a Dio, noi insegnanti non produciamo niente, ma prendiamo i bambini dove sono e li portiamo il più lontano possibile. Il che significa che il contesto sociale, familiare e culturale dell’eterogeneità di una classe influisce tantissimo sul lavoro fatto.
    All’interno di una scuola, preside, bidelli, genitori sanno benissimo chi lavora bene e chi no, quindi chi ci amministra potrebbe fare delle valutazioni del nostro lavoro, valutazioni che però non possono toccare, se non in minima parte, le conoscenze dei bambini alla fine dell’anno (tutto dipende da dove si parte…).
    La meritocrazia è un argomento importante, certo, e credo che sia compito di ogni insegnante valorizzare chi studia e ha buoni voti e aiutare chi è in difficoltà. L’unica proposta che mi sento di fare è la diminuzione di bambini in ogni classe. Chi in classe ha 30 quindicenni lavora meno bene di chi ne ha solo 18, mi sembra più che ovvio.
    Tornando al merito: gli insegnanti dovrebbero essere pagati di più, ma dovrebbero essere soggetti a pratiche di licenziamento o allontanamento quando non fanno bene il proprio lavoro.

  8. emanuela ha detto:

    Ovviamente d’accordo con Riccardo – e come potrei non esserlo se non altro per aver copiato per due anni di fila i tuoi compiti a casa di fisica e di matematica al liceo -, anzi aggiungo che DEVONO esserci dei percorsi differenziati, e aggiungo anche che questo è possibile (io personalmente l’ho sempre fatto), ma come dice Francesca non in classi di 30 persone. Con una media di 15 alunni per classe è possibile sia aiutare i ragazzi più in difficoltà e farli progredire, che valorizzare quelli che invece sono più dotati – ovviamente anche in sede di valutazione, sfondi una porta aperta -. Semmai il problema è che non sempre il voto di maturità o di laurea viene poi preso in considerazione. Nel calcolo del punteggio per le graduatorie il voto di laurea non è nemmeno considerato. Però io volevo dire un’altra cosa. Che la realtà è complessa e non tutti i ragazzi hanno gli stessi tempi di maturazione e neppure la stessa intelligenza. Detto questo è evidente che ci sono CRITERI OGGETTIVI – non prove oggettive scusate la sottigliezza – per valutare le capacità – cognitive, logiche, argomentative etc. – di un ragazzo. C’è eccome il modo per fare una scala di meriti, solo che non la si fa attraverso la prova quantitativa, ma con strategie di valutazione più complesse. Chi merita deve poter avere l’ opportunità di percorsi di ECCELLENZA – non solo il recupero il pomeriggio per chi è in difficoltà, ma anche laboratori per chi invece è più bravo etc. -. Quindi pienamente d’accordo. E anche pienamente d’accordo con Francesca sul resto, ma MI CHIEDO a chi interessa una scuola con docenti veramente preparati, motivati, periodicamente sottoposti a valutazione e quindi anche (ben) pagati? Due volte da due dirigenti scolastici di due noti e prestigiosi licei paritari mi sono sentita dire – con mio stupore – di volare basso -. Addirittura una volta per un programma a cui i ragazzi si erano appassionati, non ho avuto la possibilità di fare un rientro pomeridiano voluto da alcuni di loro (ragazzi che ti chiedono una lezione supplementare il pomeriggio, roba dell’altro mondo). Questa è la scuola che deve cambiare.

    un saluto

    emanuela

  9. Riccardo da parigi ha detto:

    E si, passare da 30 a 15 ragazzi per classe e aumentare gli stipendi. E chi glielo dice a Padoa-Schioppa? Vorrebbe dire raddoppiare il numero di insegnanti, oppure raddoppiare il lavoro di ogni insegnante raddoppiando (!?) gli stipendi? E per la scuola? Come dice emanuela, della scuola non frega mai niente a nessuno (e anche tra iMille siamo in 4 a parlarne, mi pare esemplificativo) perché, ad essere buoni, non interessa proprio, a voler essere maligni, una scuola che funziona significa cittadini attivi e meno manipolabili …. o no?

    riccardo

  10. emanuela ha detto:

    Eh…certo stavo per dirlo…

    Alcune delle idee più innovative delle ultime due riforme – di centro-sinistra e di centro-destra – non sono passate per mancanza di finanziamenti o sono diventate dei compromessi senza senso. Vi siete chiesti come mai? Certamente ci sono gli sprechi – che credo siano il primo problema da arginare a tutti i livelli – e anche una certa abitudine a gestire i fondi – per le scuole, per la ricerca – in modo del tutto personale e privatistico -(…Qui bisognerebbe forse parlare anche dell’Università?). Ma non solo. C’è la volontà di non cambiare le cose.

    E comunque tornando all’osservazione di Riccardo, basterebbero classi di 20 studenti. Una aumento dignitoso e proporzionato al lavoro svolto – tempo speso per formazione e incarichi. Se si prevede una professionalità più complessa devi anche prevederne un riconoscimento sociale e quindi economico -.

    cordialmente
    emanuela

  11. Francesca ha detto:

    Nella civilissima Francia in una delle mie classi, corrispondente alla terza liceo italiano, quest’anno avevo 37 alunni. Ditemi voi se è possibile…

  12. alvise ha detto:

    Il progetto prospettato è giusto e interessante, mi sfogo in due critiche alla SSIS che lo confermano:
    -la maggior parte delle persone che conosco e che frequentano la ssis allo stesso tempo insegnano, questo avvalora l’idea dell’anno di affiancamento (per fare contento Padoa-Schioppa potrebbe essere a stipendio ridotto, con il senso equivalente al pagare la ssis)
    -non vedo l’ora che la ssis cambi, ed in particolare il criterio con cui decide di obbligare un laureato ad insegnare un limitato numero di materie, non so in base a che ragionamento. [Il mio esempio: laureato in scienza dei materiali, una letta al programma del corso e si capisce subito che si tratta solo di chimica e fisica, materie che posso insegnare: mineralogia negli istituti tecnici minerari (esistono?) e ceramica negli istituti d’arte, materie trattate parzialmente in alcuni moduli di esami. E di esempi ce ne sono molti altri]

    Il modello proposto da Francesca è fin troppo bello, come altri anno sottolineato non piacerebbe a chi caccia i soldi, ma è indubbio che la strada da percorrere è quella. Credo potrebbe essere facilitata anche cambiando il sistema della formazione delle classi, passando ad uno aperto in cui uno studente sceglie il pacchetto di lezioni da seguire tra una serie di obbligatorie e facoltative. I vantaggi ci sarebbero sia per quegli istituti in cui ogni sezione ha un “indirizzo di studio” diverso, sia per quegli studenti che hanno bisogno di integrare maggiormente una materia o la possibilità di approfondirla.

    Ultimo appuntino: la dirigenza della scuola, non ho idea di come sia adesso ma credo debba essere dotata di maggiori poteri decisionali e conseguentemente di maggiori responsabilità.
    Purtroppo spesso si è di fronte a questo grande dilemma: la gestione simil-aziendale della cosa pubblica (un istituto superiore, un ospedale, un’università) può portare ad un miglioramento dell’efficienza, ma (essendo in italia) anche ad un aumento del clientelismo e un maggiore sfruttamento delle risorse pubbliche.

  13. emanuela ha detto:

    Al volo prima di correre in università: non sono d’accordo con l’accesso all’insegnamento per tutte le materie. Anche a me piacerebbe insegnare italiano. Ne avrei probabilmente la competenza. Ma ho visto fare filosifa ai laureati in pedagogia che possono insegnare questa materia, avendone sostenuto un paio di esami all’università. Vi assicuro che normalmente non hanno la più pallida idea di che cosa sia quello che andranno ad insegnare, non hanno letto i testi degli autori, ne hanno una conoscenza puramente manualistica, approssimativa, persino erronea in alcuni casi, niente metodo. E mi dispiace dirlo, perchè invece il contrario non è vero. Invece ho trovato sorprendentemente scarso il livello dei docenti di pedagogia che ho conosciuto in questi anni. Un altro esempio: Scienze delle comunicazioni – corso di laurea perfettamente inutile con un livello sempre più basso degli studenti, programmi semplificati etc. – Vi assicuro che di comunicazione quei ragazzi non sanno nulla. Ho colleghi che tengono corsi in quella facoltà. Io stessa ho assistito ad alcuni esami.
    Esami che hanno lo stesso nome degli esami di Lettere, ma sono la decima parte. E infatti e giustamente non hanno accesso all’insegnamento.
    Non ho ovviamente idea di come è il programma di Scienze dei materiali rispetto ai programmi Chimica o a Fisica. Potresti avere ragione, io non ho gli strumenti per saperlo. Ma sarei quanto meno prudente.
    Questo non significa che ci sono le eccezioni e che uno può costruire le proprio competenze in un secondo momento ed eventualmente accedere ad un concorso diverso per il quale ritiene di avere acquisito nel corso degli anni le competenze necessarie – con un obbligo di esami da sostenere per accedere al concorso -.
    Sui Presidi d’accordo, anche se ho maturato una antipatia per il linguaggio dell’ultima riforma…Ovviamente così come stanno le cose questi Presidi spesso non sono preparati per il nuovo ruolo di Dirigenti a cui sono chiamati. Inoltre io darei rilievo anche ad altre figure – il Coordinatore di classe, il Tutor etc. – Il Preside deve avere un ruolo importante di coordinamento all’interno di un sistema di partecipazione collegiale.

    Coidiali saluti

  14. DV ha detto:

    mi permetto di replicare ancora sulla questione della valutazione.
    E’ giustissima l’osservazione di emanuela: solo CRITERI oggettivi. Sono anche d’accordissimo che non si possono valutare i docenti sulla base di quiz sostenuti dagli alunni.

    Io pero’ volevo porre la discussione su merito ed efficacia in maniera un po’ diversa, sottolineando ancora l’aspetto che più mi colpisce (negativamente) della scuola italiana, ovvero il differente grado di conoscenze e capacità che si riscontra a seconda delle aree geografiche e classi sociali.

    Potremmo essere d’accordo sul fatto che una serie di prove volte a valutare in maniere oggettiva un numero anche minimo di capacità degli alunni possa essere utile, quanto meno come strumento d’indagine.

    Se questo strumento fosse adottato regolarmente nel corso della carriera scolastica di ogni studente, si avrebbero indicazioni di miglioramenti o peggioramenti. Questo ovviamente non sarebbe una prova di nulla per quanto riguarda il professore dato che, come si diceva, i ragazzi maturano in maniere e tempi personalissimi.

    Però se la prova fantomatica (o le prove.. non per forza quiz), fosse ripetuta nel tempo ed i risultati resi noti ai ragazzi, potrebbe costutuire un dispositivo di responsabilizzazione degli studenti stessi, che verificano (seppur in maniera brutale) la loro preparazione e capacità nelle diverse materie.

    A quel punto sarebbero ragazzi e genitori a chiedere docenti migliori, a protestare con i presidi o a rimettere in discussione il loro impegno. Senza considerare l’utilità di confrontarsi con alunni di tutta italia.

    Ad esempio: se io ho intenzione di iscrivermi ad ingegneria e studio al liceo classico, lo vorrò pur sapere se sto acquisendo un livello minimo di conoscenze in matematica, e se sto migliorando le mie capacità nel risolvere problemi. Vorrò anche confrontarmi con alunni di altre regioni ed altri paesi. E se mi accorgo di essere in ritardo, cercherò di impeganrmi di più, almeno nelle materie che più mi serviranno all’università.

    Quindi responsabilizziamo gli alunni.

    Infine, se un professore di matematica napoletano si accorge che gli studenti della stessa classe in Emilia Romagna sanno molte più cose, qualche problema se lo pone.
    E se qualcuno si accorge che studenti delle elementari bravissimi, diventano molto meno bravi, tutti, dopo aver frequentato una scuola media, a qualcuno verrà la voglia di controllare più approfonditamente i metodi di insegnamento adottati in quella scuola, o la maniera in cui il preside la gestisce. (E qui siamo tutti d’accordo sul fatto che molti presidi non sempre fanno il loro dovere)

    Ultimissima cosa, solo perchè mi piace introdurre argomenti controversi e minare un po’ le certezze.
    A quanto pare in uno dei migliori sistemi scolastici del mondo, quello coreano, le classi sono numerosissime. Fino a quaranta alunni.
    Anche io sono convinto che le classi debbano essere molto ristrette, ed è per questo che sottopongo questo dato, qualcuno ci capisce qualcosa?
    Sarà disciplina ferrea?

  15. Francesca ha detto:

    Sinceramente non credo che si possa valutare il risultato, il lavoro di un insegnante e di una classe, semplificando così tanto. Accolgo la provocazione: i risultati del sistema scolastico coreano…bene: io del sistema scolastico coreano non so niente, se non che in classe ci sono molti bambini. Ma cosa è un buon sistema scolastico? Quello in cui i ragazzi sanno le equazioni e non fanno errori di ortografia e conoscono a memoria tutti gli affluenti del Po, oppure un sistema che, insegnando, trasmette sì nozioni, ma soprattutto la curiosità intellettuale, a scapito di qualche affluente o di un’equazione risolta non in febbraio come vorrebbe il ministero ma in maggio?
    La scuola non è e non può essere un’azienda dove si mandano i curricula, davvero no. Perché non c’è una scuola migliore di un’altra, o almeno non ci dovrebbe essere. Certo però, per avere scuole d’élite, e un po’ vedo che qui se ne parla, c’è tanto bisogno delle scuole del ghetto. Senza il ghetto, l’élite non esiste. Ma mi dispiace, io sto molto più a sinistra, ma proprio tanto.

  16. riccardo da parigi ha detto:

    Volevo solo dire, che quando si parla di valorizzare gli studenti che si impegnano di più e ottengono migliori risultati, lo dico perché penso che questo sia l’unico principio proprio per uscire fuori dal ghetto. Certo sono “principi” che sono difficilissimi da realizzare (chi nasce in quartieri difficili è sempre più svantaggiato se non può fisicamente o legalmente accedere a scuole più rinomate). Ma senza questa idea resta solo l’ereditarietà e la familiarità. E in questo modo chi è nel ghetto vi resta vita natural durante. Determinare quali sono i livelli (di competenze, ragionamento, fantasia, originalità) serve per poter allargare le possibilità, altrimenti rimane solo la “famiglia”, e il figlio dell’avvocato farà l’avvocato, il figlio del netturbino il netturbino.

    riccardo – che da parigi pensa di sentirsi molto più a sinistra anche lui

  17. emanuela ha detto:

    Già c’è nell’ultima riforma la chiara indicazione di percorsi non curriculari tra i quali i ragazzi possono scegliere, come c’è l’idea che deve essere curata l’eccellenza, ma anche che non si deve lasciare indietro nessuno. Dove non è possibile è preferibile la bocciatura. Il sistema dei debiti non mi è mai piaciuto. Se ci sono lacune gravi su più materie vuol dire che si deve ripetere l’anno. Se la lacuna è su una sola materia l’estate non aggiunge nulla al lavoro che può essere fatto in un anno. Ma è importante che giudizio non è mai sulla persona,al contrario le persone vanno valorizzate SEMPRE. E vanno incoraggiate, occorre dare loro fiducia, ma niente scorciatoie.

    Inoltre non c’è solo l’abilità nel risolvere il problema di matematica, ma anche il modo in cui ti relazioni ai compagni. La crescita è qualcosa di complesso che coinvolge tutta la persona non solo le sue abilità cognitive.

    NON CAPISCO perchè non si può volere una scuola meritocratica, dove il merito di cui si parla è su due livelli: quello dei docenti e quello degli alunni. Ma capisco la differenza con l’Università. Qui semplicemente bisognerebbe smetterla di dare la laurea a tutti. Lo dico senza cattiveria, faccio la tutor, aiuto gli studenti in difficoltà, ma in alcuni casi capisco l’imbarazzo dei professori. Un mio amico giovane docente si lamentava giorni fa a pranzo di una sua tesista che proprio non riesce a capire come va fatta una tesi. Ma alla fine dovrà laurearsi, non avrà il massimo dei voti, non sarà aiutata in commissione, ma avrà la sua laurea. Niente di più di un pezzo di carta. Peggio ancora va con i corsi di laurea cresciuti come funghi che non danno nessuna – e sono dura lo so – ma veramente nessuna preparazione.

    Tornando alla scuola: è vero che tutti a seconda delle proprie capacità devono essere portati il più lontano possibile e tutti devono essere messi nelle condizioni migliori per crescere a vari livelli (l’insegnante non è un trasmettitore di informazioni! Ma colui che dovrebbe guidarti in un percorso formativo complesso)-. Ma per mettere in atto questa cosa ci vogliono strumenti e quindi risorse. E certamente competenza e motivazione. Che credo molti di noi hanno.
    Io non lo so se sono più a sinistra di qualcuno, ma sono per una rivoluzione culturale…(e basta con questo linguaggio aziendale, per carità, alcune cose vanno bene, le sottoscrivo, ma la scuola non è una azienda, ha ragione francesca!)

    Per ora vi saluto cordialmente data l’ora ed il mio stato di stordimento dopo un viaggio in treno da Milano a Roma – con ritardo, ovviamente –

    emanuela

  18. Francesca ha detto:

    D’accordissimo sul sistema meritocratico, certo. Ma che sia un sistema in cui chi studia è valorizzato, chi lavora bene pure, ma non un sistema in cui l’insegnante si sceglie la propria scuola su curriculum. Non raccontiamoci bugie: chi sceglierebbe le scuole difficili?
    E poi se a un adolescente si dice: tu sei in una scuola non buona, vi assicuro che al 99% l’adolescente non studierà, non farà sforzi. Abbasserà le braccia, tanto è quello che il sistema stesso gli chiede di fare. Ecco la scuola del ghetto.

  19. emanuela ha detto:

    Mah…dipende da quanto l’insegnante riesce ad alzare la posta. Può essere una sfida insegnare in una scuola del ghetto. No, non vedo proprio la differenza per un insegnante. Anzi. E poi anche in una scuola prestigiosa, dove regna l’ordine, dove lavori bene con classi di 15 allievi, puoi avere difficoltà in quella che ho chiamato FORMAZIONE, che ripeto non è mera trasmissione di contenuti. Perchè magari ti trovi davanti ragazzi abituati ad avere tutto senza il minimo sforzo, ad assorbire tutto passivamente, a non mettersi in discussione etc. Anche questa è una sfida. Parlavo di rivoluzione culturale. Iniziamo a farla a scuola. Dove non è la situazione sociale l’unico vero problema, ma la passività che accomuna realtà sociali anche molto lontane. Se uno studente sostiene pacificamente che un ebreo – un negro, un mussulmano – non può essere cittadino italiano semplicemente per la razza, quando questo accade – ripetutamente, in forme diverse – nella totale INDIFFERENZA non solo dei compagni, ma anche dei colleghi docenti, forse è il caso di interrogarsi.

    All’Università vale la pena trovare un equilibrio che favorisca i più svegli. A scuola invece servono percorsi differenziati (come è indicato nella riforma, ma solo a livello teorico). Ma serve anche una nuova attenzione per tutti quegli aspetti non meramente cognitivi della formazione, perchè una scuola che prepara un allievo solo sul piano delle abilità è una scuola asservita – devo dire a che cosa? – e quindi in fondo è una scuola che ha abdicato al suo ruolo.

    cordialmente

    emanuela

  20. Francesca ha detto:

    Ma sì, ma figuriamoci! Io da 5 anni insegno in una scuola di un quartiere definito più che difficile, e amo molto il mio ruolo là. Ora però smetto di parlare della Francia che ha sicuramente problemi diversi, e lascerei volentieri la parola a chi lavora in zone molto difficili ma italiane. E so già che sono colleghi che hanno tanto da dire.
    Anche i ragazzini di famiglie benestanti danno problemi, certo, e forse anche di più e sono problemi più insopportabili, ma non illudiamoci: organizzare una gita quando non puoi chiedere nemmeno 50 euro alle famiglie e NESSUN ente statale o para-statale vuole aiutarti non è facile.

  21. elisabeth donatello ha detto:

    Ciao a tutti e tutte,
    come già scritto in risposta alla proposta di iMille vd l’educazione al centro di una democrazia per i cittadini e le cittadine abitanti di questo pianeta…ho avuto la fortuna di insegnare a vari livelli ed in molte realtà diverse italiane e non…sono bilingue ed ho utilizzato la lingua come veicolo di comunicazione e comprensione del pianeta e dei suoi abitanti fin da piccola…ciò mi ha permesso di capirlo e decodificarlo in divenire…perciò ritengo che studiare una lingua altra e saperla usare come proprio strumento di comprensione della realtà è un diritto fondamentale…lo studio di una lingua straniera rappresenta tutto ciò semmai ne va fatto capire il valore a chi la trasmette in un paese dove chi parla le lingue rappresenta ancora un numero esiguo…proprio la presenza di tanti piccoli/e cittadini/e del mondo ci porta a considerare l’importanza dell’apprendimento di più lingue fin da piccoli quando i meccanismi di memorizzazione di suoni connessi a significati è formidabile…semmai andrebbe perorata la causa del loro diritto ad apprendere anche nella loro lingua, cosa che esiste in molti paesi da molti anni (convenzioni tra stati-ambasciate,…)nella consapevolezza che gli strumenti di ciascuno si valorizzano nella diversità ed interazione con l’intorno, ci si risparmia anni di fatiche e stress su grammatiche stantie…voi che siete all’estero sapete di cosa parlo e di quanto sia importante saper comunicare quando si vuole accedere ad un concorso o scrivere un articolo solo chieder info…ogni cittadino/a ha diritto all’accesso degli apprendimenti non ultimo l’uso degli strumenti informatici che rappresentano la nuova frontiera educativa per l’umanità e che devono uscire dal semplice acquisto di un pc spesso nn accessibile dai singoli o dalle scuole…reti di apprendimento a distanza libere da copyright devono rappresentare i nuovi diritti di cittadinanza e non nuove esclusioni in campo educativo…
    Ripensare l’educazione come si sta facendo da anni nei social forum dell’educazione a Porto Alegre è un diritto ed un dovere per riscrivere i nuovi alfabeti del sapre umano…
    un dovere informarsi e riflettere cominciando da semplici differenze…
    alle materne ed elementari si lavora 24 ore settimanali e si chiamano maestri/e (parola evocativa di grandi valori e contenuti).
    Alle medie e superiori si lavora 18 ore settimanali e si chiamano professori/esse…ditelo a Citati…
    l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo ad avere una scuola pubblica di qualità e di quantità, quasi il 97% del totale…classi formate con alunni/e di diverse provenienze dove ci si incontra vestiti ognuno come gli va…valori questi non chiacchiere…
    A presto
    Elisabeth

  22. Maria laura ha detto:

    Sono un’insegnante di 65 anni, in pensione. Sono stata un’insegnante molto felice. Penso che gli insegnanti debbano capire che devono cambiare: la scuola dei tempi antichi dava “input” e i ragazzi rispondevano positivamente se vivevano in condizioni socio-culturali favorevoli. Quelli che non erano in grado di far questo non entravano nella scuola oppure erano rapidamente cacciati fuori.
    Oggi agli insegnanti si chiede di più, di formare e istruire davvero, di farsi carico dei loro studenti, di sentirsi responsabili dei loro successi o insuccessi. Perciò ci vuole una preparazione maggiore, una curiosità maggiore, un impegno maggiore, una severità grande, ma non gelida. Si deve far lezione senza aver bisogno di aver davanti il libro di testo, ma guardando in faccia i propri studenti e arrabbiandosi se non stanno attenti; e starli a sentire con pari attenzione quando parlano, anche se dicono qualche sciocchezza o fanno qualche errore. Bisognerebbe che gli insegnanti accettassero la sfida di far sì che la scuola di massa resti di massa, ma non per questo sia di livello più basso; sarebbe necessario che credessero in questa possibilità, fossero convinti che l’accettare questa sfida valga un’intera vita professionale, richieda ricerca e alto impegno intellettuale: un prestigio non minore di quello che può conseguire un grande studioso con le sue sofisticate ricerche. Gli insegnanti dovrebbero aver presente che la scuola per tutti è una neonata – a fronte di un’istruzione per millenni riservata a pochissimi – e una neonata va curata e accudita con amore e razionalità, se no non può crescere bene.
    Bisogna perciò superare al più presto un precariato dannosissimo, per i giovani insegnanti e ancor più per i ragazzi. E
    bisogna trovare criteri che riconoscano l’impegno e la ricerca di chi accetta questa sfida e dedica a ciò una parte importante della sua vita; bisogna accettare che il collega che si è impegnato di più e ha formato studenti migliori e più contenti sia riconosciuto come più bravo. E capire che non si possono “giudicare” gli alunni in base al merito e all’impegno se poi non si accetta di essere giudicati in base al merito e all’impegno.. Quindi che la meritocrazia, nella scuola, inizi con l’investire gli insegnanti…

    In concreto, sono assolutamente d’accordo con il ripristino di concorsi per l’accesso all’insegnamento. Certamente, ogni concorso esclude alcune persone competenti e ne fa passare alcune altre incapaci, ma gli errori sono inevitabili in selezioni di questo tipo, non ci sono meccanismi migliori. Da quanto ho sentito da giovani, le ssis sono assai insoddisfacenti, avvertite come quasi inutili e inutilmente costose.

    Per quanto riguarda la valutazione nel corso della vita professionale di un insegnante, non credo sia utile pensare, nella situazione attuale, e forse neppure in una diversa, a soluzioni dispendiose del tipo anno sabatico ecc., che sarebbero forse poco gradite a molti degli insegnanti più motivati, riluttanti a staccarsi dai ragazzi e da quel che hanno progettato per e con loro, di anno in anno. L’anno sabatico potrebbe essere reso possibile per altri scopi, ma non per una valutazione dell’efficacia e del livello dell’insegnamento, che dovrebbe avvenire in relazione stretta con quello che si fa in classe. Penso che si potrebbe, senza grandi sforzi, premiare il merito: commissioni esterne di concorsi per avanzamenti nella carriera, volontarietà del singolo docente nell’accettare tali esami di concorso interno al percorso professionale, sbarramento alla possibilità di ripetizione del concorso per un numero cospicuo di anni, in modo da evitare un affollamento da parte di persone che “ci provano” senza essersi adeguatamente preparate; esame in parte sulla conoscenza, anche basilare, di quello che si insegna; in parte su documentazione (elaborati studenti, progetti realizzati ecc.) di quel che si è fatto; valutazione del professore da parte degli studenti, che naturalmente deve avere un peso parziale. Però sarebbe necessario che il ministro resistesse alle pressioni dei tenti che in forme diverse si sono sempre opposti a concorsi interni al percorso professionale, in nome di un’eguaglianza che molti insegnanti rivendicano solo per sé.

    Due parole su famiglie e scuola: la scuola deve e per lo più potrebbe avere la forza – preparazione, motivazione, capacità degli insegnanti… – di proporsi come mondo dotato di una forte autonomia, mondo dei ragazzi e di quegli strani adulti che dovrebbero essere gli insegnanti. Gli insegnanti dovrebbero tener sempre presente che è molto più difficile essere genitori che professori (La famiglia è facilmente più patologica della scuola) e smetterla di parlare male della scuola quando si tratta dei loro figli e di parlare male della famiglia quando si tratta dei loro studenti. E smetterla di fare le vittime e di piangere su tutto. Sono insopportabili quelli che fanno così, la stragrande maggioranza, almeno delle generazioni vicine alla mia (conosco purtroppo poco i giovani)! Non si possono risolvere tutti i problemi che entrano dall’esterno all’interno della scuola, ma sicuramente moltissimi sì.
    Gli insuccessi, le bocciature: ci sono e ci saranno ancora, per chissà quanto tempo. Ma vanno considerati insuccessi anche della scuola, che non è onnipotente, non prove di serietà e di efficienza (ovviamente un discorso a parte meritano i diplomifici, e le scuole corrotte e di corruzione, religiose e laiche). L’assurdità sta nell’attribuire a queste cose un valore esemplare, di ammaestramento.

    Maria Laura