Le discriminazioni sul lavoro, oltre che odiose sono pure stupide. Un imprenditore davvero lungimirante è quello che sa che il vero fattore di successo sono le donne e gli uomini che nella sua azienda lavorano. E, in quest’ottica, dovrebbe sempre cercare di avere la persona migliore per ogni posizione di lavoro. “The best and the brightest”, dicono gli anglosassoni.
Ebbene, la capacità di svolgere un determinato compito al meglio non è mai collegata ad alcuna caratteristica personale che non sia il proprio talento. Genere, etnia, orientamento sessuale, età, nazionalità, abilità o disabilità o opinioni politiche non hanno nulla a che vedere col talento. Negli Stati Uniti questo è un dato di fatto, e credo che il fastidio di Marchionne per l’indagine aperta su di lui dai giudici di Nola, per la discriminazione operata nei confronti dei dipendenti iscritti alla Fiom, abbia a che vedere anche con quello che in inglese si chiama “reputational risk”.
Se in America si sapesse di una condanna per Fiat-Chrysler per ragioni di discriminazione, ne deriverebbe anche un danno di immagine molto pesante per un mercato dove essere un “employer of choice” (e cioè un datore di lavoro ricercato sul mercato) è un elemento imprescindibile della reputazione di un’azienda. La capacità di attrarre talento è considerata un indice molto significativo delle prospettive, anche finanziarie, di una società quotata.
Il fatto è che Marchionne, quando pensa a Fiom, non pensa a un sindacato, ma a un gruppo di persone che intendono boicottare l’azienda per la quale lavorano. Crede che non di discriminazione si tratti, ma di una sorta di autodifesa da un nemico interno. Le relazioni industriali nel mondo anglosassone sono basate su un accordo non scritto di cooperazione: non esiste – secondo questa logica – miglior sistema di welfare per i lavoratori che lavorare per un’azienda profittevole.
E dunque l’attesa del datore di lavoro è quella di confrontarsi con una forza lavoro collaborativa e di dover, dal canto proprio, investire sulla medesima forza lavoro come si farebbe sul più strategico dei fattori della produzione. Quello che Marchione pare non voler comprendere – e gestire – è l’atteggiamento contrappositivo tra “padrone” e “lavoratori” che invece è tipico di una parte importante del nostro sistema di relazioni industriali e figlio della storia politica del nostro Paese.
Sono dunque due mentalità completamente confliggenti, quelle che si confrontano dentro casa Fiat. Non è solo una questione di differenze di opinioni: qui si confrontano due giocatori che si sono dati appuntamento sul campo di gioco, ma preparati a giocare due sport differenti. Uno si è bardato di tutto punto per una partita di football americano, spalle rinforzate e grata protettiva sul volto, l’altro ha sellato il cavallo e tirato fuori dallo sgabuzzino le mazze da polo.
Ne verremo fuori, con grande beneficio per tutto il paese e per la sua principale impresa industriale, quando i due attori principali di questa lunga e sfinente querelle si renderanno conto che la prima cosa da fare è rendersi conto che gli interessi comuni sono di gran lunga maggiori di quelli contrapposti. E quando entrambe le parti prenderanno atto che farsi reciproche e unilaterali concessioni – a partire dalla mutua legittimazione – è il necessario primo passo di questo indispensabile cammino.
3 risposte a “Marchionne e Fiom: una lunga e sfinente querelle”
quindi fammi capire. se io rubo il portafogli a qualcuno, e poi vengo indagato per il reato che ho commesso, potrei cavarmela dicendo: caro derubato, e carissima procura, il problema è proprio che noi, io e voi, giochiamo due sport diversi; nel mio mondo, non esiste che io possa essere indagato se rubo i portafogli, perchè rubare i portafogli è l’unico modo per rendere la mia esistenza piena e “profittevole”; reciproco riconoscimento, dunque, e tu, caro il mio derubato, cerca di capire che siamo tutti sulla stessa barca e offrimi anche tu il tuo portafogli senza farmi fare la fatica di strappartelo dalla tasca, proprio come hanno fatto quelle tre altre persone prima, quella appena uscita da messa, quella con la foto di craxi in mano, quella con la camicia nera e quella che di professione fa il domestico in casa mia (ogni riferimento a sindacati realmente esistenti è puramente casuale e non voluto).
inutile dire che non può darsi mai un “reciproco riconoscimento”, se una delle parti in causa (oltre a non essere, nel caso di specie, assolutamente in grado di fare il lavoro per cui è faraonicamente pagata) non rispetta la legge, questa va sanzionata, e basta. inutile, davvero…
Certo, si può e si deve sanzionarla. Dopodichè, applicata la sanzione, mi pare che il problema resti tutto là, intonso.
il problema non è fiom. fiom è un’organizzazione che firma contratti in tutta italia, che in un’infinità di realtà è presente nelle fabbriche come unica sigla. che non può essere, e basta verificare i fatti, essere liquidata come “sindacato ideologico” o ancora “sindacato casinaro”: a taranto, per esempio, c’è stato uno sciopero, qualche mese fa, uno sciopero contro una decisione della magistratura; uno sciopero che rischiava di acquisire grande popolarità, fra i lavoratori di quella fabbrica (a livello nazionale l’aveva già acquisita, la popolarità, grazie all’azione di una certa stampa che solitamente gli scioperi li schifa). hanno scioperato fim e uilm, finanziati e supportati dai vertici dell’azienda (riva e ferrante, e in questo come in tanti altri casi non è sbagliato chiamarli “padroni”), che si sono preoccupati di rifornire gli scioperanti di panini acqua e succo di frutta (caso credo unico); fiom non ha aderito, non ha cavalcato l’onda, questa sì, populista e ideologica, non si è messa contro una decisione della magistratura. allo sciopero hanno aderito in tre gatti.
tornando a fiat, è evidente qui che il problema è rappresentato dal solo marchionne. ed è un problema che diventa giuridico, ma che lo diventa a causa dell’incapacità manageriale del nostro. assolutamente inadeguato, lui come manager apicale, a reggere il confronto con tutti gli altri pari grado (quasi tutti peraltro pagati molto meno di lui) di tutte le altre case automobilistiche europee e mondiali (i fischi in serie della sua strategia sono sotto gli occhi di tutti) da un lato cerca di competere abbassando il costo del lavoro e il livello dei diritti minimi, costruendosi, con l’aiuto di una parte della stampa e di una politica che solo in italia può essere definita “di sinistra, un utile paravento, poichè se le cose vanno male la colpa è della fiom conservatrice che frena la spinta dell’innovazione. dall’altro, tagliando la testa al toro, delocalizzando, prima in polonia, e poi in serbia (i 900 euro di un operaio di tychy iniziano a essere troppi; vuoi mettere i 300 di un operaio di kragujevac?). mentre la chrysler è stata salvata e continua a tirare perchè la sua crisi non aveva nulla a che fare coi modelli prodotti, che c’erano e continuano a esserci (e a ben competere sul mercato), mentre d’altro lato senza gli 8 miliardi di dollari dati da obama alla uaw la chrysler oggi sarebbe fallita. dipingere quindi marchionne come un coraggioso innovatore che guarda troppo lontano per poter vedere sotto giusta luce i reperti archeologici presenti nel cortile di casa (questo è il senso del tuo post) equivale a dare un ritratto della situazione che non ha nulla, ma proprio nulla, a che vedere con la realtà.