Si chiama “Straw man argument” (ne è un appassionato il mio amico Luca Sofri) e consiste grosso modo nel rispondere a qualcosa che uno non ha mai detto. E’ esattamente quello che sta facendo Alfano in questi giorni quando evoca il “matrimonio gay” – che non mi pare affatto (e chi mi segue da tempo sa che potrei pure dire purtroppo) parte del programma del Partito democratico – per minacciare la crisi di governo.
Lo ha fatto anche ieri da Fabio Fazio, e dunque vale la pena di chiarire una volta per tutte. Ciò che il PD chiede di inserire nell’agenda del governo sono le unioni civili, istituto simile a quello vigente in Germania o (fino all’estate, quando entrerà in vigore la legge sul matrimonio) in Inghilterra. Si tratta di un istituto che non si chiama “matrimonio” (e le parole sono, mai come in questo caso, importantissime per ciò che evocano) me che dà alle coppie gay e lesbiche tutte le protezioni, i diritti e i doveri di cui necessita ogni coppia (etero o gay) che voglia impegnarsi tendenzialmente per tutta la vita.
Alfano dirà: un matrimonio che non si chiama matrimonio è comunque un matrimonio. Falso: non per nulla, dalle parti di Londra, anche dopo l’entrata in vigore delle unioni civili, la battaglia è proseguita finché il governo (di destra) di Sua Maestà ha approvato il matrimonio ugualitario. Per la cronaca, anch’io, dopo aver portato a casa presto le unioni civili continuerò a rompere le scatole finché non avremo raggiunto l’uguaglianza che, come si sa, o c’è o non c’è: tertium non datur. Però ora portiamo casa un risultato che è veramente a portata di mano.