Come nel caso Cucchi, anche per il caso Eternit la linea di chi osserva dovrebbe essere quella per cui “le sentenze non si commentano”. Eppure, quando la giustizia trasmette un senso di ingiustizia, non si può nemmeno far finta di niente. La legge va rispettata, mancherebbe, e i magistrati hanno il compito di applicare le norme. Ma quando una sentenza lascia aperte più domande di quante ce ne fossero all’inizio del processo, quando una sentenza ha il sapore della beffa, non si può fare a meno di interrogarsi sulla questione.
Tutti sappiamo che Cucchi è morto mentre era nelle mani dello Stato, ma nessuno di quella morte porta la responsabilità. Tutti sappiamo che i morti a Casale Monferrato e nei dintorni sono morti per mesotelioma pleurico, e che la malattia è provocata dall’amianto della fabbrica, ma nessuno ne risponderà.
«Anche se oggi qui si viene a chiedere giustizia – ha detto il procuratore generale Francesco Iacoviello, chiedendo alla Corte di dichiarare prescritto il reato -, un giudice tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto». Con tutto il rispetto per il Procuratore, non sono sicurissimo che la frase sia corretta. Soprattutto perché, se le cose stessero davvero così, verrebbe da chiedersi a quale porta debba bussare il povero cittadino per ottenere giustizia, se non a quello delle nostre corti e dei nostri tribunali.
Il fatto è che diritto e giustizia non possono essere scissi come fossero cose alternative e contrapposte. Diritto e giustizia sono – o almeno dovrebbero essere – due facce della stessa medaglia: l’uno deve essere scritto perché l’altra possa venire ad esistenza. Se il diritto non serve a produrre giustizia, non si capisce davvero a cosa esso serva.