Landini e l’album delle figurine
Martedì sera ho partecipato a Ballarò. Ci sono andato con l’onesta intenzione di spiegare a coloro che ci guardavano alcune scelte del Governo e del Pd, e spero di esserci riuscito, compatibilmente con il clima a volte un po’ confuso e rissoso che caratterizza questi programmi.
La parte finale della trasmissione mi ha visto a confronto con il leader della Fiom Maurizio Landini, l’impreditore Mattia Mor e la professoressa Elisabetta Gualmini, presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo. La studiosa si era espressa nel corso della trasmissione in termini tutt’altro che lusinghieri sul Governo, che vede fragile dal punto di vista politico per le vicende che ne hanno caratterizzato la nascita, e in quanto tale secondo lei “costretto a far poco”. Non una devota del premier, dunque.
Ebbene, parlando del Jobs Act, che ha definito “un provvedimento di compromesso”, ha detto testualmente: “Cosa dice la legge? Dice che verranno incluse un milione di persone (settecentomila tra Co.co.co. e Co.co.pro., trecentomila lavoratori a tempo determinato, ma con carriere molto discontinue). Per questa platea si dà qualcosa in più dal punto di vista dell’assicurazione contro la disoccupazione. Fa schifo? No. È qualcosa in più.”
Nessun peana, come si vede: piuttosto una valutazione oggettiva di un provvedimento che, mentre aumenta la flessibilità per le imprese, attenua la precarietà per un milione di persone. Il primo serio tentativo, da vent’anni a questa parte, di migliorare le sorti di quella che ho definito “una generazione di schiavi”. È un dato che Landini, pur combattivo ai limiti (e spesso oltre i limiti) dell’animosità non ha in alcun modo criticato o messo in dubbio. Mi sembra un esempio plastico della totale infondatezza e pretestuosità dello scontro e del clima di asperrima contrapposizione che la Cgil ha voluto determinare con l’Esecutivo.
I dati della realtà sono che il Governo, lungi dal voler escludere o marginalizzare il sindacato, lavora con esso in modo costante alla soluzione dei numerosi punti di crisi del nostro sistema produttivo. Lo abbiamo fatto con l’Ast di Terni, lo abbiamo fatto prima ancora con Electrolux e lo stiamo facendo con Alcoa, lo faremo con l’Ilva. Nel frattempo i provvedimenti che stiamo varando, lungi dall’essere quel mostruoso attacco ai diritti dei lavoratori che si vorrebbe rappresentare, hanno al centro, in una situazione economica ed occupazionale difficilissima, il ripristino di un minimo di tutele e di diritti per molte centinaia di migliaia di persone che ne sono oggi prive.
Nessuno è obbligato a battere le mani o a condividere ogni aspetto delle nostre proposte: ma è sempre più chiaro che c’è un album delle figurine dove qualcuno vuole dipingerci come nemici del popolo, e poi c’è la realtà. Una realtà fatta di durezza, di contrapposizioni, ma anche di tanto lavoro comune e di tante soluzioni ragionevoli.
Il sindacato esiste per chiudere accordi, non per dettare la linea al governo. Per questo non faccio parte di quel 55% e passa di Italiani (per fortuna in calo), che ritiene i sindacati un fattore di rallentamento o di ostacolo allo sviluppo dell’Italia. Anche se il modo di fare di Landini, talvolta e in particolare martedì sera, mi pare orientato a dar loro ragione.
P.S.: Chi volesse ascoltare l’intervento della professoressa Gualmini nella sua integralità lo trova qui.