Riprendo da “Il Sole-24 Ore” alcune notizie interessanti contenute nell’Italia Board Index 2014, redatto da Spencer Stuart sulle cento società a maggiore capitalizzazione quotate in Borsa. Ci sono dati incoraggianti: per esempio il significativo incremento della presenza femminile, che grazie alla legge Golfo-Mosca passa al 24%, o il ridimensionamento numerico dei Consigli di Amministrazione, la cui media (12,2 consiglieri) resta superiore a quella britannica e statunitense, ma è inferiore a quella tedesca e francese.
Si confermano però alcuni vizi antichi del nostro sistema economico, ancora largamente dominato dal sistema della cooptazione e delle cordate. Rimane irragionevolmente alta l’età media dei consiglieri, che è di quasi sessant’anni, minimo il numero degli stranieri (meno del 2%), basso il numero dei consiglieri indipendenti. I board perdono così la loro funzione di stimolo e di contrappeso e si limitano ad essere sede di ratifica della volontà del management, con una condivisione che raramente è frutto di un’analisi approfondita delle possibili opzioni e delle alternative strategiche.
L’atteggiamento di fondo è quello di un diffuso misoneismo, una pervicace resistenza alle innovazioni ed un’altrettanto tetragona diffidenza verso i punti di vista non conformisti. La cooptazione garantisce la sostanziale permanenza non solo degli assetti, ma delle mentalità, e porta l’interesse dei gruppi dirigenti a prevalere su quello dell’azienda e dei suoi azionisti (per tacere degli altri stakeholders).
È un modello sbagliato in generale, perché sottrae all’economia di mercato il suo valore decisivo, che è quello del dinamismo. Ed è un modello suicida in un momento economico nel quale la lunga crisi chiede risposte efficienti, rapida capacità di conversione, duttilità. Anche questa refrattarietà del potere economico-finanziario italiano all’innovazione e ai cambiamenti contribuisce, penso, al ritardo nella ripresa registrato dal nostro Paese. Ed anch’essa spiega quanto sia faticoso e perciò stesso indifferibile ed urgente il processo riformatore che dobbiamo compiere.
Il muro che è davanti a noi non è il dissenso più o meno informato su questo o su quel provvedimento; è il rifiuto ostinato di comprendere che un modo di vivere e di pensare più aperto, più vario, più inclusivo, non è soltanto più bello e più giusto; è anche più conveniente, anche se magari all’inizio è un po’ scomodo.