Ritorni e nuovi arrivi
Il ritorno nel Partito democratico di gente come Pietro Ichino e Alessandro Maran o l’arrivo di Irene Tinagli e Ilaria Borletti Buitoni hanno sollevato polemiche che sono evidentemente strumentali e non condivisibili.
Innanzi tutto perché il problema non è che Ichino ritorni al PD, il problema è chiedersi perché mai lui, e tanta altra gente come lui, avesse deciso di uscirne alla vigilia delle elezioni politiche del 2013. La cultura politica liberal-democratica ha piena cittadinanza in tutti i partiti progressisti del mondo e avrebbe dovuto preoccuparci – come a suo tempo a me effettivamente preoccupò, e parecchio – che il PD non riuscisse più, prima dell’avvento di Matteo Renzi alla segreteria, né a rappresentarla né a intercettarne idee e consensi.
Anzi, in qualche modo il partito sembrava perseguire in modo consapevole una strategia identitaria secondo la quale quel tipo di posizione fosse più da perdere che da conservare, anche a costo di restringere il nostro bacino di consensi. Come qualcuno ricorderà c’era chi diceva che Ichino in fondo non rappresentava che un’insignificante minoranza all’interno del partito, così preparandone di fatto l’uscita verso un movimento centrista come quello di Monti.
Il secondo motivo per cui mi pare non debba esserci alcuno scandalo è che, in vista di una semplificazione del quadro politico come quella che lo stesso Italicum prevede con il premio alla lista vincente, dobbiamo abituarci all’idea che i partiti diventino più ampi e trasversali di come li abbiamo conosciuti in un sistema politico frammentato e identitario come il nostro.
Se nessuno ha avuto nulla da dire quando qualche mese fa Gennaro Migliore, Alessandro Zan, Ilaria Piazzoni, Titti Di Salvo e altri parlamentari di SEL sono entrati nel PD, portando legittimamente nel partito un punto di vista di impronta spiccatamente socialdemocratica, non si capisce per quale motivo non si accetti l’arrivo di Irene Tinagli o di Alessandro Maran, che rappresentano un’ispirazione di tipo liberal-democratico.
Speriamo che la stessa cosa accada anche nel centro-destra e che, grazie anche al nuovo sistema elettorale, in Italia come in altri grandi paesi finiscano col fronteggiarsi due partiti nei quali esistono linee politiche compatibili ma con diversa ispirazione, destinate a confrontarsi nei congressi o con le primarie perché alternativamente una delle due prevalga sull’altra.
Il vero problema è che oggi, se da un lato assistiamo alla capacità del PD di attrarre nuove energie e di strutturarsi come i partiti fratelli in Gran Bretagna, negli USA o in Germania, a destra sembra regnare il caos più completo. Ma tutto questo non è certamente colpa né di Tinagli, né di Ichino.