Le riforme e i vigili di Foggia
Due notizie di stampa senza alcun apparente rapporto fra loro hanno attirato la mia attenzione. La prima è un’annotazione incidentale fatta dai demoscopisti che realizzano Eurobarometro 82, un’indagine semestrale che si svolge in contemporanea in trentaquattro Paesi europei (i ventotto membri dell’Unione ed i sei candidati) per sapere cosa pensano i cittadini delle istituzioni europee e della loro attività. I mille cittadini italiani intervistati hanno per l’88% indicato le riforme come strada più efficace ed utile per rimettere in sesto il Paese e farlo uscire dalle attuali difficoltà. Per l’80% del campione (che è stato sottoposto al questionario nello scorso novembre) è particolarmente indicata una riforma del mercato del lavoro tesa a favorire l’occupazione. Intendiamoci, questa percentuale bulgara di consenso non è attribuibile nello specifico ai provvedimenti di cui si occupa il nostro dipartimento alla Presidenza né al merito degli atti del Governo Renzi: ma va sottolineato come per il 60% dei partecipanti all’indagine la parola “riforme” ha un connotato positivo.
Come si concilia un’opinione pubblica così ampiamente favorevole ai mutamenti con le reazioni non sempre composte che qualsiasi atto di riforma suscita? Non mi riferisco, naturalmente, al comprensibile e provvidenziale esame di merito che i singoli stakeholders compiono sui provvedimenti; e nemmeno all’esistenza di logiche resistenze che le categorie possono manifestare rispetto ad atti dalle conseguenze supposte o temute negative per il loro specifico interesse. Non conosco nessun Paese al mondo nel quale si rinunci volentieri ad una comoda abitudine per mettersi in discussione e affrontare la fatica del mutamento. Magari si potrebbe farlo senza evocare ogni cinque minuti, la deriva autoritaria, il tramonto di ogni umano sentimento e l’incipiente apocalissi; ma al netto di questo folklore, è abbastanza normale che tutti vogliano le riforme nel senso che devono riformarsi gli altri.
Ma c’è solo questo? Non c’entriamo anche noi classe dirigente, anche noi rappresentanza politica? Non è che il nostro rapporto con l’opinione pubblica sia fatto apposta per incentivarne le pulsioni più deteriori? Il sospetto mi è venuto leggendo, su “Il Sole 24 ore”, che i vigili urbani di Foggia, la città nella quale ho trascorso diversi anni felici della mia formazione e dove ancora mi impegno come deputato eletto in Puglia, sono nel 2014 diventati molto più indulgenti. O almeno questo dicono gli incassi delle multe, che sono calati in un anno di quasi il 65%. Non sembra che questo debba essere collegato ad una migliorata disciplina degli automobilisti. Pesa sicuramente la perdurante crisi economica, che porta qualcuno a non pagare la multa comminatagli; ma non è certo cominciata adesso. Avrà influito – come nota il quotidiano di Confindustria – anche la disputa locale sulla competenza a multare i veicoli in divieto di sosta vicino alle zone blu.
Ma la vera parola magica è “elezioni”. L’anno scorso si è votato per eleggere il nuovo sindaco, ed è dato consolidato, valido – a scanso di equivoci – dalle Alpi al Lilibeo, che negli anni elettorali la Polizia Municipale usi una mano più leggera (le cose, a quel che sembra, peggiorano repentinamente l’anno successivo). Ecco, l’idea che gli amministratori e gli aspiranti tali pensino che una buona leva di consenso consista nell’evitare di sanzionare chi commette un’infrazione spiega nel migliore dei modi perché il riformismo italiano, quello vero, faccia tanta fatica. Le riforme costringono la politica a parlare il linguaggio della responsabilità e della consapevolezza, che insieme producono libertà, invece di continuare a blandire gli elettori considerandoli – come disse qualcuno – come ragazzi di seconda media, e nemmeno di quelli seduti al primo banco.