Naturale costituzione
Qualche sera fa La7 ha dedicato una puntata di Announo dedicata alle unioni gay. Una trasmissione abbastanza terribile, devo dire, conclusasi con un Aldo Busi che si agitava per non aver potuto approfondire il suo intervento sulle malattie veneree – Dio solo sa cosa c’entrassero – e un giovane uomo nero che perdeva un’ottima occasione per evitare di esercitare il proprio razzismo su altri. Nella perdita di senno collettiva si segnalava solo la serenità – straniata, dato il contesto – di Andrea Rubera e di suo marito Dario De Gregorio che erano in collegamento da una silenziosa e serena 8tutto il contrario dello studio) casa propria.
Poi c’è stata una giovane donna, che se ho inteso bene si chiamava Sara, che ha pronunziato parole di saggezza circa la corretta interpretazione dell’art.29 della Costituzione, quello secondo cui “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Già qualche giorno prima Michele Ainis se ne era occupato sul Corriere della Sera, ma la sua autorevole voce è stata un po’ soffocata dal bailamme elettorale. Un’ottima occasione, per me, per ritornarci su.
Per alcuni commentatori questo articolo della nostra carta fondamentale, caposaldo di quel “favor familiae” che permea il nostro ordinamento in diverse sue parti, escluderebbe ogni possibilità di matrimonio paritario fra persone dello stesso sesso. A costoro si potrebbe al massimo garantire uno strapuntino da “quasi-famiglia”. Perché mai? Perché l’espressione “società naturale” equivarrebbe, secondo questi interpreti, a “conforme allo stato di natura” e, quindi, eterosessuale.
Si tratta in realtà di un salto logico del tutto infondato e anche abbastanza bizzarro: i Padri Costituenti non si avventurarono affatto sullo scivoloso terreno della cosiddetta “famiglia naturale”, né nella sua difficilmente definibile accezione storica, né tanto meno nella sua impossibile ed inesistente accezione scientifica. Si preoccuparono soprattutto di chiarire che la nostra Costituzione, come fa in altre parti, accetta l’idea giusnaturalistica che la famiglia sia precedente ed anteriore allo Stato, e che esso (“la Repubblica”) si limiti a “riconoscerne i diritti”.
Significa dunque che il rito matrimoniale ha caratteristiche meramente ricognitive dell’effettiva volontà e capacità dei coniugi, che nessuno può essere obbligato ad instaurare un vincolo familiare e tanto meno a romperlo (si veda, in questo senso la sentenza 170/2014 della Corte Costituzionale, che ha ribadito l’impossibilità di imporre il divorzio a una coppia nella quale il marito abbia compiuto il percorso di transizione al genere femminile). Il mero possesso della capacità di agire (in senso giuridico) è sufficiente a contrarre matrimonio, e solo l’esistenza di un matrimonio precedente non dichiarato sciolto o l’esistenza di legami di parentela stretta tra i futuri coniugi limita questa possibilità.
È così forte questo astenersi statuale dall’interferire con la ricordata “società naturale”, che, ad esempio, la commissione di determinati reati può impedire ad un cittadino di esercitare il proprio diritto di voto, ma non può impedirgli di sposarsi. Per intenderci: anche chi avesse commesso una strage di innocenti conserva il diritto di sposarsi che è negato alle persone omosessuali. Non vi è alcuna disposizione costituzionale che affermi che tale “società naturale” è riservata alle persone con orientamento eterosessuale. E non vi è alcuna ragione per supporlo, anche solo come contenuto implicito.
Significa che i membri della Costituente pensavano al matrimonio paritario per gli omosessuali? Ovviamente no. Lo dice la Corte Costituzionale nella sentenza 138/2010, e io concordo (anche dissento radicalmente con le conseguenze che la Corte ne ha poi tratto, e cioè che il legislatore italiano dovrebbe introdurre per le coppie omosessuali un istituto diverso dal matrimonio). Al tempo l’omosessualità era ancora considerata una patologia o una perversione, avere rapporti omosessuali era considerato reato da molti Stati e illecito da tutti. E gli stessi omosessuali probabilmente nemmeno valutavano la possibilità di poter aspirare a farsi delle famiglie. Un grande autore carico di umanità come Eduardo De Filippo, scrisse in quel periodo una commedia, “Mia famiglia”, che oggi sarebbe irrappresentabile per i vergognosi pregiudizi di cui è intrisa. E tuttavia si preoccuparono, gli estensori della Carta fondamentale, di non disegnare una “famiglia di Stato”, formulando un articolo capace di adattarsi al mutare dei tempi, come tutte le buone leggi debbono fare.
L’omosessualità è una condizione naturale? Sì, lo ha sancito da gran tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sarà quindi a fortiori naturale il legame d’amore che si sviluppa fra due persone con questo orientamento, e naturale la “società” che in virtù di questo amore si stabilisce ed organizza.
Il matrimonio paritario, quello dei francesi, degli spagnoli, dei britannici, dei belgi, degli sloveni e via elencando, è quindi non solo – secondo me – perfettamente conforme alla Costituzione, ma il solo che attui lo spirito e la lettera del suo articolo 29.
Il fatto che per “realismo di contesto” ci si acconci alle unioni civili previste dalla legge Cirinnà, che sono, come in Germania e come non mi stanco di ribadire, “tutta la sostanza del matrimonio tranne il nome”, non è un modo per fare acquiescenza a un divieto posto nell’articolo 29. Perché, come ha ben ricordato la preparata e combattiva Sara, quel divieto non è mai esistito.