Siccome succede molto di rado, considero una notizia trovarmi d’accordo con Marco Travaglio e con il suo appello al Movimento Cinque Stelle perché faccia un endorsement ufficiale a Felice Casson, che al Comune di Venezia arriva al ballottaggio da primo, ma con il concreto rischio di essere rimontato dal centrodestra, che al primo turno ha corso diviso. Non irragionevolmente, Travaglio immagina che questo appoggio possa essere dato sulla base dell’accettazione di alcune priorità programmatiche e non con la prospettiva di un’alleanza di governo. E sarebbe un modo – sostiene il direttore del Fatto – per dimostrare che il Movimento Cinque Stelle non è l’imbalsamata setta isolazionista che appare, e che anzi, come ha sostenuto qualche giorno fa Curzio Maltese, potrebbe finalmente divenire pars costruens di quella sinistra alternativa al Pd che taluni vagheggiano.
Certo, siccome Travaglio è sempre Travaglio, non ci si può aspettare un approccio del tutto obiettivo: sicché Casson meriterebbe di essere sostenuto malgrado sia del Pd, o meglio per la sua natura di “nemico dell’establishment”; ma la sostanza resta condivisibile: i sistemi elettorali a doppio turno postulano che in prima battuta si voti chi ci piace di più e in seconda chi ci dispiace di meno. Per questo, di fronte al rischio di mandare all’Eliseo Le Pen padre, le sinistre francesi si acconciarono a votare Jacques Chirac alle presidenziali di inizio millennio, nel 2002.Non so quale sarà la risposta di Grillo, ma credo non sarà positiva. E temo che questo dipenda dal fatto che la lettura di Maltese e di Travaglio, ossia l’iscrizione del Movimento Cinque Stelle al fronte progressista sia artificiosa ed ottimistica.
È verissimo che ci sono dentro le proposte a Cinque Stelle molte cose “di sinistra”: penso alla loro posizione sui diritti civili, alle sensibilità ambientali, alla pur altalenante ed ambigua vocazione legalitaria. Ma accanto a queste ve ne sono altre di segno simmetricamente opposto, dalla difesa dello ius sanguinis alla superstizione antiscientifica, dallo strisciante poujadismo antifiscale fino al marcato antieuropeismo e al disprezzo della politica professionale. Questa ambiguità è peraltro preziosa per il Movimento, perché gli permette di conquistare consensi ed intercettare flussi elettorali di eterogenea provenienza. Il rifiuto di qualsiasi politica delle alleanze non è un malaugurato dettaglio: è la conseguenza diretta di un’impostazione fideista e manichea che è idonea a rappresentare uno stato d’animo, non un programma. Siamo sempre di fronte al delicato passaggio fra le politics, la ricerca del consenso, e le policies, l’effettiva attività di goverrno.
Il Movimento Cinque Stelle cerca ed ottiene voti sulla base del rifiuto dell’esistente: la sua main promise è che non farà compromessi, non si contaminerà. Ed essendo la contaminazione l’essenza stessa della politica in democrazia, questo rifiuto in nome della purezza lo rende immobile ed impotente a prescindere dalle sue ragguardevoli percentuali. È vero, al parlamento europeo lavorano meglio: meno ossessionati dagli scontrini, alieni da piazzate e ascese sui tetti, capaci di intesa e di pragmatismo. Contaminati, appunto. E tuttavia anche lì Travaglio la racconta a suo modo: sono stati i Verdi a rifiutare qualsiasi approccio con il Movimento Cinque Stelle, proprio stigmatizzando l’idea forza del grillismo: “destra o sinistra per me pari sono”. In Europa questa è stata giustamente considerata una cretinata. Lo è anche in Italia. Detto questo, forza Casson e forza Venezia.