Niente a che fare con la politica
Non sono sin qui intervenuto sulla questione del Senatore Azzollini, ma da ieri sto discutendo del caso su Facebook, nei profili di Enrico Rossi e di Paola Natalicchio, rispettivamente presidente della Regione Toscana e Sindaco di Molfetta: la città, appunto di Azzollini.
Tanto vale, allora, provare a dire qui cosa penso della vicenda.
Enrico Rossi scrive: “Sul caso Azzollini non basta limitarsi a chiedere scusa. Il privilegio di giudicare se stessi per reati comuni riservato ai parlamentari è assurdo. Il Pd ha un solo modo per uscire da questa amara vicenda, che scava un fossato tra partito, istituzioni e cittadini; proporre una legge per eliminare l’immunità per i reati comuni. Non c’è nessuna giustificazione che spiega la differenza tra un cittadino normale, che può essere arrestato e condotto in carcere in qualunque momento, e un parlamentare che beneficia di questo tipo di scudo. Se poi un giudice sbaglia è giusto che ne paghi le conseguenze, al pari di un chirurgo che asporta un rene sano al posto del rene malato. Se non poniamo un rimedio rischiamo di produrre una ferita grave nella vita democratica delle istituzioni.”
Paola Natalicchio, dal canto suo aggiunge: “La dichiarazione di Renzi sul caso Azzollini mi atterrisce. Pensavo che dopo le scuse di Debora Serracchiani il caso fosse chiuso. Archiviato come una delle peggiori pagine del nostro Parlamento e come la prova provata del disastro che le larghe intese costituiscono per questo Paese. E invece no. Dobbiamo trovare le giuste risposte a questa fase politica decadente. Farcene carico.”
Devo dire che non mi si può attribuire nessuna simpatia umana nei confronti del Senatore Azzollini, dal quale peraltro aspetto da più di un anno pubbliche scuse per un’aggressione di cui fui vittima involontaria durante una riunione della Commissione Bilancio che allora presiedeva, e che dal punto di vista politico lo considero tutto il contrario di quello che dovrebbe essere la politica, soprattutto nel mezzogiorno. Azzollini rappresenta fisicamente la politica che cerco di sconfiggere da quando faccio politica.
Aggiungo che la gestione del caso mi pare sia stata lontanissima dall’essere perfetta, con il voto della giunta che è andato in una direzione e quello dell’aula che è andato in direzione opposta, il che non ha aiutato nessuno a farsi un’idea corretta della vicenda. Eppure mi pare che il contributo di Enrico e di Paola non aiuti a fare nessuna ulteriore chiarezza nell’opinione pubblica sulla vicenda, che va inquadrata non sul piano politico ma su quello giuridico e su quello costituzionale. Al contrario creiamo soltanto confusione aggiuntiva, dando forza al partito di quelli che credono che la cosa migliore da fare oggi per il Paese sia fare “ammuina” quanto più è possibile. Lasciamo l’incombenza a chi lo fa per professione e cerchiamo di utilizzare al meglio le nostre intelligenze.
Partiamo dal Presidente Rossi. Qui non c’è nessuna immunità e nessun privilegio dei parlamentari, i quali non giudicano se stessi, come Enrico Rossi sa perfettamente (e non si capisce perché scriva il contrario). Azzollini è sempre stato, e continua ad essere, assoggettato alla legge e al processo penale che lo riguarda come qualsiasi altro cittadino. La deliberazione del Senato non aveva niente a che fare con il procedimento penale contro Azzollini, ma solo con la misura cautelare degli arresti domiciliari richiesta per lui dalla procura di Trani. In altre parole, l’unica prerogativa che è riconosciuta ai parlamentari è quella di non poter essere privati della propria libertà personale (né di poter essere intercettati) senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza.
La ragione di questa prerogativa è ovvia, caro Enrico, e a mio avviso sacrosanta e intoccabile: si tratta di preservare la separazione dei poteri e dunque la reciproca indipendenza del legislativo e del giudiziario. La regola è fissata per fare in modo che nessun giudice possa arrestare uno o più parlamentari (magari dell’opposizione, magari per metterli a tacere) senza che Camera o Senato verifichino che dietro la richiesta di arresto – che peraltro tocca il plenum di un organo costituzionale: impedendo a un eletto di partecipare alle sedute, quell’organo costituzionale resta in qualche modo mutilato – sia assente la persecuzione politica. E’ la stessa ragione per la quale, di converso, la magistratura ha un organo di autogoverno proprio e per cui, per fare un altro esempio, nessun magistrato può essere trasferito contro la sua volontà se non per ragioni disciplinari. Anche queste sono, per lo stesso motivo, prerogative sacrosante e intoccabili.
Capisco poi benissimo lo spirito di Paola Natalicchio, la persona che Azzollini e il suo sistema di potere ha battuto (ma probabilmente non ancora abbattuto) nella propria città. Paola è un’amica vera e una persona che stimo profondamente e con sincerità, per me una delle figure più belle del centro-sinistra italiano. Però non sono per nulla d’accordo con lei, quando dice che il salvataggio di Azzollini compiuto dall’aula del Senato sia stato il frutto delle larghe intese. A parte che le larghe intese sono destinate ad andare definitivamente in soffitta grazie alla nuova legge elettorale, c’è da dire che la decisione di molti senatori non ha avuto nulla di politico.
Mi riferisco in particolare alle parole di due tra i senatori che mi sono più cari, persone la cui onestà intellettuale non può essere messa in discussione veramente da nessuno: Luigi Manconi e Pietro Ichino. Il primo ha sottolineato che la custodia cautelare richiede la presenza di requisiti che in questo caso non c’erano: (pericolo di fuga dell’indagato, inquinamento probatorio, rischio di reiterazione del reato). Ichino ha fatto ancora di più: dopo aver sottolineato di aver in precedenza sempre votato a favore degli arresti, ha spiegato che le accuse ad Azzollini (aver utilizzato il “Don Uva” come bacino di consenso e aver fatto approvare esenzioni fiscali di cui anche la struttura del “Don Uva” avrebbe goduto) sono esattamente – creare consenso e far approvare norme – il mestiere del parlamentare.
Per questo Ichino si dice “sconcertato da quella che mi è apparsa come una vera e propria confessione esplicita, nell’impianto accusatorio, della pretesa di mettere sotto controllo l’attività parlamentare. E mi ha molto stupito il fatto che il Tribunale della Libertà abbia convalidato la richiesta del GIP, ricalcandone alla lettera i motivi, senza rilevare l’anomalia di un capo d’accusa che ha per oggetto principale l’attività legislativa di un parlamentare e che indica come movente del preteso delitto il puro e semplice interesse politico-elettorale del parlamentare stesso.”
Davanti a queste riflessioni io credo si debba semplicemente ammettere che le cose sono meno semplici e lineari di come le si voglia descrivere. Per quanto si trovi Azzollini sgradevole e riprovevole, non è la custodia cautelare il modo per combatterlo.
Giorgio Tonini, una delle più belle teste del PD, ha commentato così la vicenda: “…nel caso di Azzollini, dopo aver studiato le carte, averci pensato su e discusso con colleghi più competenti di me, sono arrivato alla conclusione che c’erano molti e solidi indizi di fumus persecutionis, che la richiesta di arresto era motivata in modo debole e discutibile ed era sostenuta da argomentazioni pericolose dal punto di vista democratico, in quanto segnavano una netta invasione di campo da parte della magistratura ai danni del parlamento, mettendo così in discussione il principio della divisione dei poteri. L’ordinanza di arresto andava dunque respinta. Azzollini andrà comunque sotto processo e, se sarà condannato, finirà anche in prigione. Ma acconsentire al suo arresto ben prima del processo, sulla base di motivazioni tanto discutibili, sarebbe stato un tragico errore. Che non ho, non abbiamo commesso.”
Tutto il contrario di una decisione politica, e nulla a che fare con le larghe intese.