Il riflusso di Ernesto
In generale cerco di astenermi da quel loop comunicativo che porta a commentare i commenti dei commentatori e criticare le critiche dei critici. Per una volta però farò eccezione alla regola e dedicherò qualche riga al commento di Ernesto Galli della Loggia che oggi sul Corriere della Sera manifestato la sua delusione per quelle che chiama “le sfide smarrite” di Renzi. E’ nella natura delle cose che l’autorevole opinionista di un autorevole quotidiano indipendente metta in rilievo più gli aspetti negativi che quelli positivi dell’azione di un esecutivo. La stampa ha l’obbligo principale di segnalare le criticità e i malfunzionamenti; per i complimenti ci sarà tempo. Si ha a volte l’impressione che questa fisiologia sia interpretata in modo un po’ troppo zelante, ma anche questo fa parte del gioco.
Nel merito, Galli rimprovera al premier un eccesso di consuetudine con gli “uomini del fare” (imprenditori e grandi manager) ed invece una certa quale distanza e freddezza rispetto agli intellettuali, agli artisti e agli uomini di cultura. Io, per la verità, trovo che nello storytelling di Renzi abbiano un posto precipuo i richiami alla cultura, alla bellezza e all’importanza che hanno nella nostra identità nazionale. Mi pare che nel suo intervento al Parlamento Europeo, per esempio, abbia citato l’Ulisse dantesco e il Rinascimento, non le memorie di Luca Cordero di Montezemolo. Che poi nell’elogio del talento italiano il presidente del Consiglio comprenda i capitani d’industria, le imprese dell’innovazione, i costruttori di prosperità mi pare non solo comprensibile, ma doveroso (specie dal punto di vista del mio nuovo ruolo).
Più ancora di questo, mi pare che l’attenzione del Governo ai temi cari a della Loggia sia nelle cose, negli atti: penso agli interventi su Pompei, alla rivitalizzazione del sistema museale italiano, al pieno sostegno dato a un ottimo ministro come Dario Franceschini. E penso alla vituperata buona scuola, con i suoi centomila assunti e –soprattutto- la drastica inversione di tendenza sul piano delle risorse stanziate, fino a ieri tagliate ed oggi potenziate. Si può fare di più e di meglio? Ci mancherebbe, certo. Ed anche con lo stimolo e il contributo critico di editorialisti come Galli della Loggia proveremo a farlo. Però sarebbe importante confrontarsi nel merito, non sulle suggestioni. Perché penso si possa comprendere che affermazioni come “Il premier non ha ancora rimesso in moto il Paese, né ha risvegliato il senso dell’interesse nazionale contro privilegi e corporativismi” sono tanto apodittiche quanto insensate. Se la discussione si imbuca nella notte hegeliana, in cui tutte le mucche diventano nere, diventa difficile capirci qualcosa.
Nell’articolo di Galli, tuttavia, la cosa che mi ha colpito di più è l’assunto iniziale. L’illustre professore ci comunica infatti come “all’inizio” Renzi gli piacesse molto, e che da questo favore dipenda in parte la sua attuale delusione e contrarietà. Mi è venuta in mente una geniale vignetta di Altan in cui il suo Cipputi diceva: “Mi sorprende questo riflusso moderato. Devo essermi perso il flusso progressista”. Ecco, io, sicuramente per mia colpevole distrazione, non sono stato in grado di cogliere questo favore di Galli della Loggia per il Renzi aurorale. Mi pare anzi che anch’egli fosse iscritto al coro di quanti vedevano in lui un bamboccio privo di esperienza e scarsamente affidabile.
Ma forse ci aiuta lo stesso della Loggia, quando dice che ciò che gli piaceva del primo Renzi era lo spirito arrembante in danno della vecchia classe dirigente del Pd, in quella che è stata definita l’epica della rottamazione. Non c’è dubbio che il nostro segretario-presidente sia stato un convinto interprete dell’imperativo della rivoluzione culturale maoista del “Fuoco sul quartier generale”. Ma l’atto in sé dice poco, se lo si separa dal suo fine. Il rinnovamento di cui Renzi è l’espressione non serve a tenere sotto scacco o mettere sotto tutela la politica, ma al suo esatto contrario: intende ripristinare la dignità della poltiica, restituirle il suo primato, riportarla ai suoi doveri. E quindi anche a toglierla da una condizione di minorità in cui l’hanno messa e vogliono continuare a tenerla altri interessi consolidati: dai grandi gruppi economico-finanziari a settori della pubblica amministrazione passando per altri poteri dello Stato e per l’informazione. Non per complotto o perfidia, ma perché la natura rifugge il vuoto, come insegna Aristotele. E se la politica non c’è più o non fa più il suo mestiere, qualcuno o qualcos’altro ne prenderà il posto.
Questo sta avvenendo? A giudicare dal numero e dalla qualità dei provvedimenti approvati in questi due anni, dal ruolo giocato dall’Italia nel contesto europeo ed internazionale, dall’affievolirsi del “rischio Paese” e dai numeri positivi, sia pure ancora non evidenti come vorremmo, del Pil, del lavoro, dell’export, si direbbe di sì. Che poi il cammino sia ancora lungo e che sia stato e sia irto di asperità lo sappiamo tutti, da Renzi in giù. Da questo punto di vista, però, segnalo con deferente rispetto il dubbio laico che il riflusso di Ernesto non sia dovuto al fatto che Renzi abbia smarrito le sue sfide, ma al fatto che ne stia vincendo alcune e si proponga e si accinga a vincerne altre. Di significato del tutto diverso da quello che della Loggia aveva compreso o auspicato.