I social media sono una brutta bestia e a chi fa il mio mestiere, come tutti sanno, succede di tutto.
Minacce, offese e calunnie sono all’ordine del giorno.
Per fortuna, però, non mi è mai venuta meno la convinzione di vivere in un Paese civile, con delle buone leggi, che funzionano.
Così, superato un certo limite, ho deciso che – semplicemente – querelo. Davanti all’aggressione, mi rimetto alle mani dello Stato. Devo peraltro ringraziare infinitamente l’Avvocato Davide Steccanella, del Foro di Milano, che mi assiste e che mi aiuta anche a valutare, con il consiglio e la saggezza che derivano dalla sua esperienza, quando quel certo limite si è effettivamente passato.
Quello che ho imparato da quando ho cominciato a sporgere querela contro i picchiatori della rete è che, immancabilmente, chi si sente invincibile mentre scrive nascosto dallo schermo di un computer o di un telefonino, quando poi riceve formale notifica dell’inizio di un procedimento penale tende a guardare alle cose con un occhio completamente diverso.
Così è successo a questo Edoardo Zamarra che non conoscevo e non conosco. Qualche giorno fa, approssimandosi la prima udienza contro di lui presso il Tribunale penale di Roma, mi ha scritto una bella lettera che poi ha pubblicato anche sul suo profilo di Facebook (la trovate in questo suo status e poi qui sotto) e mi ha chiesto di rimettere la querela, cosa che naturalmente farò: nessun problema, chiudiamo amichevolmente la questione.
Dice cose molto importanti, il Professor Edoardo Zamarra, e vi invito davvero tutti a leggere con molta attenzione le parole che mi ha scritto.
Spero peraltro che le riflessioni del Professor Zamarra siano di ispirazione a tutti i leoni da tastiera che infestano il nostro paese e la rete. Un po’ perché ci pensino, un po’ perché sappiano che la polizia postale e la magistratura fanno egregiamente il loro lavoro.
E anche che non tutti i querelanti sono sportivi come me in questa occasione: qualcuno potrebbe anche pensare in futuro di devolvere qualche euro di risarcimento danni a una delle tante associazioni che si battono per la dignità delle minoranze che sono oggetto degli epiteti usati da questi squadristi. A ben pensarci, le espressioni offensive hanno sempre uno sfondo machista, omofobico o razzista.
Insomma, prima di commettere reati, che come dice giustamente Zamarra, non sono meno gravi solo perché perpetrati on line, converrà pensarci due volte. Anzi, tre.
Roma, 15.6.2017
All’ On. IVAN SCALFAROTTO
SEDE
Oggetto: Lettera di scuse
Gentile Onorevole,
La prego vivamente di accettare le mie scuse riguardo al commento che, in data 24 luglio 2013, mentre in Parlamento si discuteva della legge scontro l’omofobia, lasciai sulla sua pagina Facebook, il cui testo diceva: “Che ti avvelenino con la stricnina, odioso citrullo in mostra. Puttanone vaticano”.
Preso dalla polemica politica del momento, ho ecceduto nelle parole e la violenza dei termini, anche senza volerlo nelle prime intenzioni, si è trasformata in una violenza personale. Riconosco di aver sbagliato. A volte il dolore è un cattivo consigliere, anzi, pessimo. A volte il cosiddetto “fuoco amico” fa più danni, ferisce di più, durante la lotta comune, di quello avversario. Anche questo capisco, mettendomi oggi nei Suoi panni.
Sempre provando a immedesimarmi con Lei comprendo oggi benissimo quanto sia difficile accettare che persone sconosciute possano esprimere nei tuoi confronti un odio talmente cieco da augurarti addirittura la morte, anche con la conseguenza di aizzare potenzialmente altri a gesti sconsiderati.
E ciò in particolare quando, come nel mio caso, si tratta di persone con titoli di studio avanzati, con esperienze internazionali e con professioni che dovrebbero costituire un modello per i giovani. Sono un professore di scuola superiore, il mio ruolo dovrebbe essere ed è quello di educare i ragazzi al rispetto e all’inclusione. All’uso accorto delle parole, anche, perché spesso esse – anche e soprattutto nelle aule scolastiche – si tramutano in pietre e fanno vittime innocenti. Avrei dovuto essere il primo a non cadere nel tranello dei social media, quello che potenzialmente può trasformare tutti, complice l’anonimato, in bulli, in violenti, in carnefici.
Ci sono invece ottusamente caduto e capisco benissimo la Sua iniziativa di chiedere la tutela della legge, di ottenere la protezione dello Stato. Ha fatto bene, questo è esattamente quello che avrei fatto anch’io, fossi stato al Suo posto.
Le chiedo però di voler considerare il mio ravvedimento, frutto di una lunga e ponderata riflessione, e di considerare il fatto che ho compreso il mio errore. Le chiedo dunque di avere l’umanità di voler rimettere la querela che comprensibilmente ha sporto nei miei confronti, cosicché non si abbia luogo a procedere per le violazioni del codice penale che ho sicuramente commesso.
Proprio in considerazione del mio ruolo, ho deciso inoltre, e mi impegno formalmente con Lei a farlo, di pubblicare questa mia lettera su tutti i miei profili social e Le chiedo di voler fare lo stesso, con la massima evidenza, anche sui suoi profili Facebook, Twitter, LinkedIn eccetera. Poiché ho la fortuna di vivere a contatto con loro, ne parlerò anche con i miei ragazzi a scuola. Chiederò al mio Dirigente scolastico di voler affrontare questo tema, cosicché la nostra comunità scolastica possa parlare di questo rischio, così parte della nostra cronaca e delle nostre vite.
Speriamo insomma che questo nostro incontro, avvenuto in circostanze così negative, possa invece rivelarsi un’opportunità e insegnare a molti altri utenti della rete, soprattutto giovani, quali sono i rischi a cui si va incontro con un uso “disinvolto” dei social media: la violenza, la calunnia, la diffamazione non sono certamente meno gravi se avvengono on line. Tenuto conto di tutto questo, La ringrazierò davvero di cuore se vorrà accettare questa mia richiesta di comprensione e chiudere amichevolmente questo orribile episodio.
Le rinnovo ancora una volta e mie scuse personali e, ora sì, La saluto davvero molto cordialmente.
In fede,
Prof. Edoardo Zamarra