I sondaggi fanno presumere che il centrosinistra uscirà sconfitto dalle elezioni regionali siciliane. Siccome sono gli stessi sondaggi che pronosticavano la vittoria di Grillo alle europee 2014 e la vittoria o la sconfitta di misura del Sì al referendum costituzionale, li leggo senza particolare trepidazione. I prossimi inquilini di Palazzo dei Normanni – che è considerato il più antico Parlamento al mondo – saranno quelli che decideranno i Siciliani. Dovranno senza por tempo in mezzo, chiunque vinca e chiunque perda, mettere mano ai grandi problemi di questa meravigliosa terra d’Italia e d’Europa che è la Sicilia.
Detto questo, dico fin d’ora che sono particolarmente orgoglioso del lavoro che in una situazione difficile ha fatto il Partito Democratico in Sicilia. Una coalizione ampia e plurale, che si estende da Campo Progressista ad Azione Popolare, un candidato degnissimo come il Rettore dell’Università di Palermo, persona irreprensibile e di evidente competenza.
Pur avendo nei nostri ranghi più di una persona la cui candidatura non avrebbe sfigurato, abbiamo rispettato e condiviso l’indicazione di altri partner della coalizione per avere un surplus di civismo e di indipendenza con cui convincere gli elettori. Renzi è stato molto bravo a far mettere al servizio della coalizione anche il presidente uscente Rosario Crocetta, che ha guidato una legislatura quanto meno contraddittoria, con alcune luci ma anche parecchie ombre.
Di sicuro Crocetta, criticabile finché si vuole (ed è davvero mortificante che Maurizio Crozza non trovi di meglio per farlo che utilizzare il peggior tritume dello sfottò agli omosessuali), ha mostrato di saper sacrificare una legittima ambizione personale ad uno schieramento vasto e inclusivo. Può darsi che non si vinca, e che gli elettori preferiscano due minestre riscaldate come Nello Musumeci o Giancarlo Cancellieri, entrambi candidati anche nel 2012. Ma l’importante è avere fatto, in coscienza, tutto il possibile per vincere.
Lo sottolineo con particolare enfasi perché non c’è maggior nemico, per il popolo della sinistra e per le forze progressiste, del culto della sconfitta in purezza, di cui le elezioni siciliane offrono un luminoso esempio con Claudio Fava. Persona perbene, figlia di un martire della lotta alla mafia, anche lui testardamente riproposto, per giunta dopo un risultato mortificante, ma consapevole di non avere nessuna chance di vittoria ed intento a raccogliere un voto di sola testimonianza. Una scelta che non serve a nulla, se non a favorire la vittoria di altri: un’evidenza che sottolineò nel 2012 Massimo D’Alema, criticando la candidatura Fava da ogni palco dell’isola. Ma evidentemente la divisione a sinistra era allora sbagliata solo perché non la faceva lui.
La differenza fra lo schieramento che sostiene Micari e quello che sostiene Fava con l’incomprensibile appoggio di Articolo 1 è banale: noi corriamo per vincere, loro per far vincere qualcun altro. Se i sondaggi avranno ragione, saremo comunque entrambi sconfitti: la differenza è che noi ci avremo almeno provato.
Qualcuno può credere che non sia molto: dal mio punto di vista è tutto. Perché la politica che si volta dall’altra parte rispetto alla sfida del governo e del cambiamento non ha a mio parere alcun senso e alcuna dignità.