Ho rivisto ieri sera “Incantesimo napoletano”, un film di qualche anno fa diretto da Paolo Genovese e Luca Miniero. E’ la storia tragica ed esilarante della famiglia Aiello, napoletana verace, a cui nasce una bambina che parla milanese stretto, odia la pastiera ma ama il panettone, mangia il risotto giallo mentre la mamma serve l’impepata di cozze e da grande vuole aprirsi una “fabbrichètta”. La reazione dei genitori è tremenda: la madre proteggendola, il padre distruggendosi per l’orgoglio ferito dall’avere una figlia così diversa, la chiudono in casa, cercano di cambiarla ad ogni costo, poi la mandano addirittura in “vacanza-studio” dagli zii di Torre Annunziata (“che parlano un dialetto così stretto, dice il padre, che non si capiscono nemmeno tra di loro”).
Guardando il film pensavo che la situazione è esattamente quella che in molte famiglie si verifica quando si affronta il tema dell’omosessualità dei figli. Al contrario di molte altre minoranze, infatti, quello che caratterizza i ragazzi gay e lesbiche è il fatto che non si è “diversi” soltanto fuori di casa, ma anche dentro casa. Chi professa una religione minoritaria o appartiene ad un’etnia diversa da quella prevalente nel paese di residenza, infatti, condivide la propria diversità con i genitori e impara in casa a celebrare la propria appartenenza al gruppo. Gli adolescenti gay e lesbiche invece, proprio come l’Assuntina del film col suo accento inaspettato, devono innanzi tutto combattere con l’assenza totale di modelli di ruolo negli adulti che li circondano e – in molti casi – con la loro aperta ostilità. E’ una situazione terribile che incide sul processo della formazione dell’identità e che spesso crea una sensazione di isolamento nell’adolescente omosessuale. Una delle cose che ho spesso sentito confermare da amici e conoscenti è che quando si comincia a sviluppare un senso cosciente della propria sessualità la prima cosa che viene in mente non è certamente quella di essere gay, il che richiede elaborazioni molto più lunghe e complesse, ma di essere qualcosa che si definisce sulla base di una differenza (io non sono come gli altri) e di una forma di unicità (non esiste nessun altro al mondo come me) che dà un senso di profonda solitudine.
Sarebbe bello che, al contrario degli Aiello, i genitori si preoccupassero della felicità dei loro figli, quale che sia il loro accento o l’orientamento sessuale, non secondo le proprie attese o il proprio metro di genitori ma facendo in modo che i ragazzi possano sviluppare un percorso di vita armonico rispetto alle proprie inclinazioni, ai propri bisogni, alle proprie speranze. L’adolescenza è un periodo difficile per tutti, è un periodo nel quale c’è bisogno di alleanze. Nel film Assuntina non perderà mai il proprio accento, un figlio gay o una figlia lesbica non diventeranno mai eterosessuali. L’unica scelta di un genitore è se consegnarli al futuro sereni e forti oppure no.
4 risposte a “La strana storia di Assuntina Aiello”
Napoli come i paesi del terzo mondo rappresenta il luogo dove il privato diventa di pubblico dominio e questo a svantaggio della propria individualità sessuale che diventa immediatamente facente parte del collettivo sapere, “la gente sa” “ci hai messo lo scuorno in faccia” “rispetta la famiglia” alcune delle frasi che troppo spesso un individuo “diverso” sente pronunciare in casa propria in quella famiglia amorevole che lo cresce con tutte le cure possibile e che poi si scopre essere spesso arrogante come tutti gli estranei con cui egli deve per forza avere a che fare, nel lavoro, nella scuola, nella chiesa ecc… famiglia
eterosessista che lo educa proprio
a valori eccelsi
che la contraddistinguono
(stigma invisibile, importanza della religione nella vita di tutti i giorni, se stai con lui e non con me finisce che mi incazzo…detto che
in altre parole pronunciato anche come
chi vuoi più bene mamma o papà,
litiga in silenzio
, tradimenti quanti ne vuoi basta che
nascosti ecc…ecc…)
famiglia eterosessista insomma
che lo vorrebbe identica fotocopia e continuazione di loro
dei propri
valori agonizzanti
e delle loro fanatiche aspirazioni una delle tante ad esempio:
fai quello che vuoi basta che lo fai fuori casa, sotto ai ponti,
basta che lo fai in segreto e
basta che i vicini non ti vedano e se poi malauguratamente dovessero scoprire di te, prima che la sciagura cada su di noi alza i tacchi e vattene in esilio lontano o datti fuoco in modo che non rimangano le tracce e allora
scopri
qualcosa di loro che mai avresti pensato,
allora scopri che hai vissuto tutta la tua vita con dei perfetti imbecilli, estranei a ciò che sei, come essere un nero invisibile, sei invisibile fino a quando non decidi di non esserlo più e poi appena puff lo dichiari, scopri di essere vissuto tutta la vita con degli omofobi razzisti. Praticamente ti fanno capire da bravo ku klux klan che
è guinta la tua fine.
Non è colpa loro, sono vittime del sistema come te che sognavi la villetta perchè te l’eri immaginata, il sole che non scotta perchè ti hanno fatto credere che era giallo e il cane che non puzza perchè ti hanno fatto credere che… ti hanno preso in giro come a loro,
vorrebbero quel figlio
bello intelligente, medico che li accudisse nei loro ultimi giorni su questa terra, ma se l’immagine
del figlio perfetto è graffiata da quella scoperta che abbia un anima, una peculiarità tutta sua, che abbia una cosa che lo contradistingue allora crolla tutto, preferiscono vedere il figlio morto , nascosto, in carcere in esilio,
“meglio delinquente che frocio” diceva una signora sulla spiaggia parlando dei fatti suoi con un amica riguardo ai
figli (non ci ho più messo piede, era un covo di omofobi
🙂 )
Certo che lavare via il pregiudizio è cosa alquanto più difficile dove aleggia un contatto tra vicinato che non lascia spazio alla libera espressione, che un figlio sia gay , che non si sappia
in una capanna del burundi, difficile nasconderlo ai vicini, così come a Napoli la stessa cosa in africa, in India o in Cile. Diverso ragionamento si può fare nella case di città, megalopoli o varie Londra, Berlino, San Francisco,dove la gente non è che si fa i cazzi suoi anzi ma perlomeno tra me e te c’è un palmo di culo per scorreggiare, un posto insomma
in cui la cosidettà distanza tra un muro e l’altro tra una casa e l’altra , tra una vita sociale e l’altra è abbastanza ampia, che per sapere delle cose sulla persona che ti vive affianco o ti metti col binocolo o lo dicono i giornali. Si sente spesso dire sembrava tanto una brava persona, sfido io sentir dire di un missionario
gay in una capanna in africa la stessa cosa, basta solo che entri qualcuno nel cuore della notte in quel tapee che già
il giorno dopo la gente incendia il suo cadavere morto per plagio,
a Napoli la stessa cosa solo che invece di incendiarlo si
vocifera su di lui
facendo la danza dello struzzo in amore fino a che il papa non lo deporta in bambagia.
La diversità nei paesi che non danno spazio vitale sufficiente
alle mura domestiche risulta un dramma ma non per chi è diverso che non può farci nulla ma per non sa convivere
col diverso che crede possa generare altro diverso, possa corrompere , plagiare gli animi dei loro figli inattaccabili, da preservare, da proteggere, come se il diverso fosse un corruttore di anime, un maligno al quale si da la colpa di avvelenare le coscienze pure dei nostri giovani, non è così, ci accusano di essere diversi ma è la loro la diversità, perchè non veniamo da un’altra natura ma dalla stessa,
l’ilarità dei vicini
o suscitare addirittura vergogna in noi, non aiuta nessuno
e genera solo incomprensione pena
l’isolamento,
almeno fino a quando resi innoqui
non si
viene accettati
come nel film, al prezzo di una vita che si è consumata , non vi ricorda quello che facciamo coi turisti?
Finchè portano i soldi tutto bene chiudiamo un occhio o che siano etero gay, trans, bisex ma quando vengono a lavorare volgliamo giudicare il loro colore della pelle, il loro odore, con chi vanno a letto, chi e con chi o cosa fanno,
diventano stranieri.
Smettono di essere “i turisti” e diventano ” gli stranieri”
, l’accoglienza prima, l’indifferenza poi e l’odio sfrenato dopo, sempre contro la stessa persona che intanto non è cambiata, quello che cambia è il nostro atteggiamento.
da
stigma invisibile
a stigma visibile.
Camaleontico vero?
Ti racconto una conversazione che ho avuto circa un anno e mezzo fa con due signori sui settant’anni, marito e moglie: era il tempo più o meno delle primarie per la Puglia, e questi due signori – soprattutto il marito – quando chiesi loro qualcosa su Nichi Vendola, scossero la testa e dissero qualcosa tipo, “mamma mia!” (non con paura ma con una certa avversione). “Perché?”, chiesi io, e loro, “Mah, guarda, solo a sentirlo parlare…”
Poco tempo dopo ero di nuovo in Italia e Vendola, fresco fresco dalla vittoria alle regionali, era stato invitato a qualche programma in televisione, insieme ad altri politici; lo ascoltai, e mi parve di sentire una persona che parlava chiaramente e in modo intelligente, e altri che parlavano politichese, non dicevano niente, o quello che dicevano era vomitevole. Lo dissi a quei due signori che, un briciolo più fiduciosi, scossero di nuovo la testa ma dissero, “Mah, staremo a vedere.” A quegli stessi due signori, meno di una settimana fa ho detto, “A voi Vendola non piaceva, ma vedo che sta facendo molte buone cose”. Mi hanno risposto: “Sì, è vero. È veramente in gamba. Eravamo prevenuti, senz’altro avevamo pregiudizi, anche perché è omosessuale. Dobbiamo imparare a superarli.” Questi signori sono i miei genitori. Io so, per averlo vissuto, che sapevano in qualche modo distinguere tra i loro pregiudizi e quello che era giusto insegnare a me, l’apertura mentale verso chi è diverso dagli schemi in cui sono cresciuti loro, ma riconoscevo in loro questa diffidenza radicata. E questo episodio mi dà speranza.
Caro Ivan, hai scritto un post molto bello, che mi ha colpito per il suo essere un appello gentile ai genitori affinchè crescano figli forti e sereni. So che non è facile educare bene i figli. Ed allora perchè, oltre al corso pre-parto alle future mamme, non se ne fa uno anche ad entrambi i genitori perchè imparino a diventarlo ? Quel tuo dire che quando si è adolescenti è necessario fare delle allenanze è una grandissima verità.Troppo spesso, ora come anni fa, si cade in una solitudine strana durante l’adolescenza, che può non essere solo quella effettiva di avere pochi amici, ma è soprattutto quella di sentirsi ‘soli’ qualunque sia il motivo.
Un abbraccio. Barbara
Ma Come ti permetti di paragonare Napoli ai paesi del terzo mondo???