La stima è per difetto, ed è di un medico e ricercatore italiano che ora dirige un centro di eccellenza di trapianti a Philadelphia: “Facendo un calcolo approssimativo – dice Ignazio Marino – l’Italia regala ai ricchi Stati Uniti 5 miliardi di euro all’anno attraverso le migliaia di giovani ricercatori che lasciano il nostro paese per andare a lavorare oltreoceano”. Una cifra paurosa, diecimila miliardi di vecchie lire.
E, d’altra parte, il conto è presto fatto: al momento della laurea o della specializzazione uno studente è costato allo Stato almeno 500mila euro. Che così escono dai confini, quasi sempre per non tornare.
La riflessione del chirurgo italiano si ritrova tutta nell’allarme lanciato all’Università di Siena sullo stato della ricerca in Italia. Le cifre sono agghiaccianti, e si possono tradurre in un concetto semplice e disarmante: il nostro paese è in declino, non è il solo ma perde sempre più terreno nell’innovazione e sta tarpando le ali al mondo della ricerca: cioè si sta privando dell’unico strumento per risalire la china.
In Italia c’è il più basso numero di ricercatori d’Europa: sono settantamila, per due terzi nel settore pubblico o nelle università. In Francia sono 170mila, in Germania 270mila (ma a rapporto inverso, la maggioranza è nelle imprese): è come aver già spento il motore. Interventi per riaccenderlo? Basta guardare le cifre: facendo un confronto nello stesso lasso di tempo, la spesa pubblica per la ricerca è stata di 14 miliardi di euro in Italia, 47 i Francia, 76 in Germania.
Attualmente il nostro paese investe in questo settore essenziale per il suo futuro 129 euro per abitante: l’Inghilterra 338.
La leva per uscirne? Per tutti, l’università. Che per ora viene però manovrata in direzione opposta. In Italia ci sono pochi laureati, ma il 25% a tre anni dalla laurea è ancora disoccupato.
(Fonte: Repubblica.it)