Alla fine la Casa Bianca ha ceduto. Il lungo braccio di ferro sulle torture tra George W. Bush e il senatore repubblicano John McCain si è concluso con la vittoria di quest’ultimo: il “trattamento crudele” dei detenuti caduti in mano alle forze americane nel corso della “guerra al terrorismo” sarà adesso proibito per legge.
Il presidente e il senatore sono comparsi fianco a fianco per annunciare l’accordo: “Abbiamo un obiettivo comune, proteggere il popolo americano” ha detto Bush. Ma, ha precisato McCain “Gli Stati Uniti non praticano la tortura e trattano tutti i prigionieri, anche quelli peggiori, in base a standard umani”.
A dare una mano a McCain e anche una spinta definitiva all’accordo c’era stato il voto della Camera (controllata dai repubblicani) che con 308 voti a 122 aveva appoggiato l’emendaento del senatore dell’Arizona alla legge sul budget della Difesa; un emendamento che vieta ogni forma di maltrattamento o abuso contro prigionieri sotto custodia USA in ogni parte del mondo.
Fino a mercoledì i leader repubblicani alla Camera avevano tentato di tutto per non arrivare a un voto potenzialmente imbarazzante per Bush, ma alla fine hanno dovuto acettare il voto su una mozione in cui si dà incarico ai negoziatori della Camera di accogliere la posizione del Senato sull’emendamento McCain. Al Senato, a ottobre, la proposta era passata con una maggioranza schiacciante bipartisan (90 voti vontro 9); un voto che aveva irritato la Casa Bianca, soprattutto il vice presidente Dick Cheney impegnato in una sua personale battaglia perché alla CIA e alle varie forze di sicurezza che “gestiscono” i prigionieri della “guerra al terrorismo” venisse garantita la libertà di usare ogni mezzo.
Fonte:La Repubblica, 16 dicembre 2005)
Noi non pratichiamo la tortura: parola di George Bush. Un annuncio di questa portata doveva essere lanciato da un luogo che ne sottolineasse la drammaticità. E con la sfrontatezza che lo contraddistingue, il presidente americano, circondato dai suoi fidi, ha scelto la Città di Panama per rilasciare questa vergognosa dichiarazione. Una bella faccia tosta! A un’ora e mezzo di auto da lì, i militari americani hanno gestito la famosa School of the Americas dal 1946 al 1984, una sinistra istituzione che, se avesse potuto fregiarsi di un motto, questo sarebbe stato: “Qui si tortura”. Le radici dei recenti scandali su questa pratica infame vanno ricercate proprio qui, a Panama e nella nuova sede della scuola, trasferita in seguito a Fort Benning, in Georgia.
Stando ai suoi manuali di addestramento ormai non più segreti, gli allievi di questo istituto –ufficiali dell’esercito e della polizia di tutte le Americhe – apprendevano molte delle stesse tecniche coercitive d’interrogatorio applicate in seguito a Guantanamo e ad Abu Ghraib: sveglia all’alba per massimizzare l’effetto sorpresa, applicazione immediata di bende e cappucci, nudità forzata, privazione sensoriale, scosse elettriche, alterazione del ciclo del sonno e dell’alimentazione, umiliazioni, temperature estreme, isolamento, posizioni scomode e altri tormenti. Nel 1996, il Consiglio di supervisione dei servizi segreti, nominato dal presidente Bill Clinton, ammise che i manuali di addestramento americani giustificavano l’esecuzione dei guerriglieri, l’estorsione di confessioni, i maltrattamenti fisici, la coercizione e l’imprigionamento su false accuse.
Alcuni allievi della scuola di Panama ritornarono nei loro paesi, dopo aver completato il corso di addestraento, per commettere i più grandi crimini di guerra degli ultimi cinquant’anni, nell’emisfero americano: l’assassinio dell’arcivescovo Oscar Romero e di sei gesuiti nel Salvador; il rapimento sistematico dei figli dei desaparecidos in Argentina; il massacro di 900 civili a El Mozote nel Salvador e tutta una serie di golpe militari troppo numerosi da elencare. ………….Alcuni paesi vittime di regimi torturatori appoggiati dagli Stati Uniti hanno cercato di sanare le loro ferite attraverso commissioni per l’accertamento della verità e processi contro i crimini di guerra. Nella maggior parte dei casi la giustizia è stata elusiva, ma gli abusi del passato sono emersi in piena luce e intere società si sono poste questioni non solo riguardo alle responsabilità individuali, ma anche alle complicità collettive. Gli Stati Uniti, pur se attivamente partecipi di queste sporche guerre, non hanno intrapreso alcun esame di coscienza nazionale. Il risultato è che il ricordo della loro connivenza in crimini commessi in terre lontane rimane fragile, se ne conserva traccia solo in vecchi articoli di giornale, in libri rimasti inediti e in tenaci forme di protesta quali le manifestazioni che si svolgono ogni anno davanti ai cancelli della School of the Americas. La triste ironia dell’antistoricismo del dibattito in corso sulla tortura è che, preoccupato essenzialmente di scongiurare futuri crimini, finisce con il cancellare il ricordo di quelli passati. Ogni volta che gli americani ripetono la favola della loro innocenza prima di Cheney, queste memorie già sbiadite, scoloriscono ancora di più. Le prove ancora esistono, raccolte in decine di migliaia di documenti desecretati e diligentemente ordinati dal National Security Archive. Ma nella memoria collettiva americana, gli scomparsi vengono fatti scomparire una seconda volta……………..
……Questo è il problema che si pone quando si finge che la tortura sia un’invenzione dell’amministrazione Bush. Se si ignora la storia e la vasta rete di complicità pubbliche e istituzionali, allora non si possono intraprendere riforme significative. I legislatori reagiranno alle pressioni eliminando qualche rotella del meccanismo generale della tortura: attraverso la chiusura di una prigione, la sospensione di un programma, o persino la richiesta di dimissioni di una mela marcia come Rumsfeld. Ma lo strumento della tortura, nel suo complesso, resterà intatto.
(Fonte: Naomi Klein, l’Espresso, 22 dicembre 2005)
Il miglior commento alla notizia riportata da Repubblica il 16 dicembre è contenuto nell’articolo di Naomi Klein. Non c’è molto da aggiungere, tranne qualche particolare, che non è male ricordare nel nostro paese, dove ogni giorno si professa dedizione agli USA e si venera la “più grande democrazia del mondo”. Al di là del fatto che gli USA non sono la più grande democrazia del mondo (India), sarebbe bene ricordare che la nostra piccola, fragile e giovane democrazia ha qualcosa da insegnare anche agli amici americani. Dopo lo sforzo immane di produrre la famosa frase contenuta nella Dichiarazione di Indipendenza (“Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal creatore di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità”), i padri fondatori ed i loro successori hanno prodotto una Costituzione che si preoccupa essenzialmente di garantire l’integrità del patrimonio dei cittadini americani, e non si spreca con enunciazioni di principio sui diritti inviolabili dell’uomo oltre l’istante della sua creazione. Infatti, nel 2005 si deve ricorrere ad una normativa speciale per vietare il “trattamento crudele dei detenuti caduti in mano alle forze americane nel corso della guerra al terrorismo”. Niente a che vedere con la Costituzione della Repubblica Italiana, in vigore dal 1948, nella quale l’articolo 13 recita con limpida chiarezza: “E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
Emilia Giorgetti