27 Aprile 2007

La politica della felicità – Riccardo Brenna

Cervelli in fuga, Democrazia

Nel mio lavoro una cosa mi ha sempre un po’ spaventato per la sua incontrovertibile logica e chiarezza: un risultato è un risultato solo se riesci a misurarlo! E quando si lavora in un’azienda, il compito è abbastanza facile. Fatturati, margini, profitti, cash-flow etc, sono facilmente associabili all’efficacia del proprio lavoro.
Ma cosa accade quando cerchiamo di misurare la “performance” di un governo o di un’amministrazione pubblica? Risposta immediata e “no frills”: le elezioni e il voto dei cittadini!


D’accordo! Ma se pensiamo all’amministrazione pubblica come una serie di organizzazioni che forniscono servizi (che noi paghiamo con le tasse), probabilmente il legame con le elezioni è più diretto quando si tratta di amministazioni locali, mentre mi sembra più labile per le elezioni nazionali, dove logiche di appartenza politica e un sistema elettorale confuso (almeno in Italia) hanno sicuramente un peso.
E, elemento forse ancora più importante, cosa misurare? Questo weekend ho passato qualche ora a cercare informazioni sull’argomento. E ho scoperto un ricchissimo filone di websites, documenti, articoli, blog dedicati alla “politica della felicità”. In particolare, nel mondo anglosassone e nel Nord Europa il dibattito sembra essere molto vivace.
L’idea che la politica debba avere come punto di riferimento la “felicità” del cittadino ovviamente non è una novita. Già alla fine del Settecento il filosofo Jeremy Bentham scriveva: “La società migliore è quella dove i cittadini sono più felici, e la politica migliore e quella che produce il massimo livello di felicità”. Più recentemente, nel 1999, Blair scriveva della necessità di usare non solamente il PIL per misurare il “successo” di un Paese, ma anche la qualità della vita, lo sviluppo sostenibile, la soddisfazione personale. Non sono sicuro di cosa Blair abbia fatto a tal proposito, ma almeno ci ha pensato…
Un nutrito numero di governi ed associazioni, dal Buthan – che ha creato l’indice di Felicità Nazionale Lorda – agli Amici della Terra con l’Indice di Felicità della Terra, hanno lavorato per trovare una soluzione al problema. Risultato, una massiccia creazione di indicatori con acronimi difficili da decrifrare: OTH, PWI, PANAS, PWBS, SWLS, HPI etc.
Nonostante la confusione, il dibattito rimane interessante: cosa influisce sulla percezione di essere felici e in quali occasioni la politica e la “res publica” può legittimamente agire per aiutare i cittadini a sentirsi più “felici”? Circa 6 mesi fa il governo laburista britannico ha pubblicato un studio per identificare i “drivers” della felicità con l’intenzione, dichiarata pubblicamente, di usare questi risultati per misurare la”performance” dei diversi ministeri. Si è generata una reazione “a catena” per cui molti amministazioni locali in Inghilterra e in Galles hanno introdotto delle misurazioni di “citizens’ well-being” per misurare la qualità complessiva del loro rapporto con in cittadini. E, ovviamente, hanno creato un indice “ad hoc”, il “subjective well-being”, SWB
Quindi, cosa influsce sul SWB? Molti fattori:
• la percezione relativa del proprio reddito rispetto a quello degli altri. Più ci sentiamo “poveri” in confronto con le persone che ci circondano e più ci siamo infelici anche se, in termini assoluti, il nostro potere di acquisto sta comunque crescendo;
• caratteristiche personali, quali sesso, salute personale e l’età, dove la curva è a U, e il periodo “peggiore” è fra i 35 e i 50 anni;
• caratteristiche sociali. Per esempio, la disoccupazione influisce negativamente, ma non in una realtà sociale in cui molti sono disoccupati;
• il modo in cui passiamo il nostro tempo di vita. Più siamo occupati da diverse attività (lavoro, sport, volontariato, andare in chiesa, farsi una camminata …) più siamo soddisfatti;
• atteggiamenti e credenze personali. Avere fiducia negli altri, credere in Dio e/o in una serie di valori “universali” aiuta ad essere più soddisfatti;
• relazioni con la famiglia, amici e il “vicinato”, che influiscono positivamente sul proprio benessere personale.
Ovviamente, il tipo di intervento “diretto” che un governo democratico può attuare su questi “drivers” è difficile da definire. È vero che in Buthan la Felicità Nazionale Lorda è molto alta, ma si tratta di una monarchia assoluta in cui in cartelloni pubblicitari sono vietati per evitare che i cittadini provino “invidia”.
Nondimeno, classici indicatori con cui tradizionalmente si misura il successo di una certa comunità, tipo il reddito in termini assoluti o la tradizionale “qualità della vita” (come è classicamente calcolata), non sembrano essere più sufficienti nel descrivere il benessere del cittadino. E mentre per la disoccupazione sembra esistere un legame diretto, elementi fondamentali come le relazioni “sociali” sono fondamentali ma difficili da valutare. Ma, cosa puo’ fare lo Stato per aiutare i cittadini senza finire in una situazione alla “1984”?
Esplorando la situazione in Italia, ho notato che alcune regioni (Trentino Alto-Adige o il Friuli-Venezia Giulia) stanno sperimentanto soluzioni interessanti ma, in generale, il modo in cui il Paese valuta la propria “performance” è ancora abbastanza tradizionale.
Conclusione. Quasi tutti gli esperti e opinion-leaders sembrano d’accordo sul fatto che analizzare lo stato di una certa società basandosi solo su indicatori “numerici” (tipo PIL) non è più sufficiente. È probabilmente arrivato il momento di capire più in profondità cosa influisce sul benessere e la “felicità” dei cittadini e misurarsi sulla capacità di aumentarla.
Tutto cio’ ovviamente presuppone che il cittadino stia al centro dei pensieri di chi governa…

4 risposte a “La politica della felicità – Riccardo Brenna”

  1. Filippo ha detto:

    indicatore della felicita’ del popolo? mi lascia perplesso se devessi applicarlo all’italia. Penso alla distribuzione delle caramelle operata dai governanti (nazionali e locali) al popolo: statali illicenziabili e spesso inaffidabili, baronie intaccabili, nepotismi e parentele, nonlavoro e indenizzi per tutti (Alitalia docet). Per andare sul locale, ricordo di un servizio delle Iene che mostrava come a Ceppaloni Mastella sia venerato come un Dio da una popolazione locale ammansita da regali e controregali. E lo stesso vedo succedere in molti comuni d’Italia, dove i goveranti sfruttano le autonomie locali per conquistare i cadreghini a suon di regali (coi soldi di Roma o delle tasse locali). Dell’incuria generale che ne deriva per mancanza di fondi (strade vecchie, ospedali fatiscenti, etc.) a nessuno importa. Qualche birretta e passa tutto, tanto il governo e’ ladro per definizione. Il popolo e’ felice, ma a che prezzo?

  2. G.V. ha detto:

    Il tema della felicita’ , o meglio del misurare la felicita’, e’ estremamente ‘caldo’ nel mondo anglosassone e soprattutto negli incroci tra economia e psicologia, ma i dubbi su come misurarla sono molti.
    Faccio notare che tra le variabili elencate non ci sono cose come la liberta’ individuale, l’indipendenza individuale, la sicurezza, ecc..Tutti aspetti che sarebbe leggittimo tenere in considerazione.
    A me ricorda molto il dilemma di come misuarare l’intelligenza, un qualcosa che si rivelato molto piu ineffabile di quanto si credesse all’inizio…
    Non credo serva scomodare tale epica conquista, basterebbe avere maggiore customare care e customare satisfaction per i servizi pubblici…

  3. riccardo ha detto:

    Grazie per i commenti. Filippo, e’ vero che in Italia abbiamo inventato il “panem et circenses”. Nondimeno, penso che sia giusto pensare a come cambiare tutto questo. E cercare di pensare agli Italiani non come “popolo bue” ma come cittadini. La tua risposta e’ la dimostrazione che in Italia ci sono persone che hanno capito il gioco, che sono stufi dei satrapi che gestiscono il potere con “regalie”. E, francamente, tutto cio’ e’ sempre meno sostenibile che in passato, e probabilmente le birrette faranno sempre meno effetto….
    Sono d’accorso sul fatto che gli elementi di liberta individuale devono essere tenuti da conto, ci mancherebbe altro, in fondo siamo uno dei pochi paesi in Europa con il certificato di stato civile…(e per fortuna che c’e’ l’autocertificazione!). E come per l’intelligenza (con il dibattito degli ultimi anni sull’ importanza della parte “emotiva”), misurare la performance di un governo attraverso il PIL, il numero di posti di lavoro etc., forse non ci racconta l’intera storia. Chiamala customer care se vuoi….

  4. Guido ha detto:

    Penso che la mia felicità di cittadino sia data dalla somma di tre fattori: la serenità, la realizzazione e le possibilità di sviluppo.
    La serenità è la coscienza del fatto che vico in una società giusta, con un elevato grado di sicurezza e che i miei bisogni primari sono soddisfatti e garantiti.
    La realizzazione è generata dagli obiettivi che mi è stato possibile raggiungere e dalla possibilità realizzata di aver fatto bene.
    La possibilità di realizzazione è generata dalla porte aperte che mi trovo di fronte.
    Per quanto riguarda il primo punto, ovvero la serenità è necessario che i servizi di stato siano ben concepiti ed efficienti.
    Nelle Ferrovie dello Stato, stiamo sviluppando delle conoscenze che ci permettono di misurare ed ottimizzare il raggiungimento degli obiettivi in termini di servizio generato effettivamente fruito.
    Queste tecniche hanno fatto sì che, fino ad ora, abbiamo identificato e prodotto un risparmio alla collettività di più di 100000 per ogni ora lavorata (dal team di cui faccio parte).
    Alla luce di questi risultati ci aspettiamo un nostro prossimo (ed in una certa ottica meritato) licenziamento.
    Guido