28 Aprile 2007

In nome del padre

Diario, Meritocrazia

renzi.jpgMatteo Renzi, il trentaduenne presidente della Provincia di Firenze, ha scritto una lettera su Repubblica di oggi in sostegno del ricambio generazionale nel Partito Democratico. Per vincere, dice Renzi, il partito nuovo dovrà necessariamente far largo ai giovani, come già succede nell’economia: “Aziende italiane ed istituzioni economiche di prima grandezza sono già da tempo passate nelle mani delle nuove generazioni. Matteo Arpe, amministratore delegato di Capitalia. Mediaset è guidata da Piersilvio Berlusconi; Matteo Colaninno, guida i giovani di Confindustria; Luca Garavoglia guida la Campari; John Elkann è da poco diventato presidente di Ifi. Sono solo alcuni esempi di aziende che vanno bene e che da tempo oramai sono passate in gestione ai giovani. Se anche il Partito Democratico seguirà l’esempio forse potrà sperare di avere successo”.


Figuriamoci se non sono d’accordo con il ricambio generazionale, ne ho fatto praticamente la battaglia di una vita. Devo ammettere che però mi ha lasciato abbastanza perplesso (anzi, direi quasi preoccupato) che proprio Matteo Renzi del ricambio generazionale abbia un’idea così strettamente anagrafica: Arpe a parte, tutti i giovani citati da Renzi sono infatti semplicemente gli eredi delle imprese di famiglia. A voler seguire rigorosamente la stessa logica bisognerebbe nominare segretario del PD la figlia di Veltroni e non pensarci più.
A Matteo non dovrebbe sfuggire che una delle tecniche più sofisticate utilizzate dai perpetui per mantenere il paese in uno stato di paralisi è quella di (appunto) perpetuarsi attraverso figli naturali o giovanotti in qualche modo a loro affiliati sulla base della massima somiglianza e continuità col “genitore”. E’ per questo che in Italia siamo impestati dai figli di e dai figliocci di, i giovani perpetui che non rinnovano un bel nulla ma si limitano a gestire in nome del padre il potere che hanno ereditato. E per le donne è anche peggio: quante donne sotto i quarant’anni siedono in un CdA in Italia senza chiamarsi Marcegaglia, Ligresti o Berlusconi? Zero.
Il fatto che il figlio del Campari si gestisca la Campari, il figlio della tivvù si gestisca la tivvù e il nipote della Fiat si gestisca la Fiat non mi pare francamente costituire un grande esempio di una società mobile, aperta e meritocratica. Anche in politica, tutto avviene nella massima continuità: vedere uno Chirac che deve suo malgrado ingollare uno Sarkozy candidato all’Eliseo non è roba da questo paese cosicché molti dei nostri giovani politici paiono soltanto dei cloni un po’ meno rugosi di quelli di prima.

12 risposte a “In nome del padre”

  1. Bellissima la nuova veste grafica del blog!
    OT
    Devi licenziare un dipendente. Vieni nel mio blog e scopri come risolvere il problema

  2. Mario Adinolfi ha detto:

    Non è un caso, Renzi è il “figlio” politico di Rutelli, che ha deciso di lanciarlo come esponente degli under 40 ortodossi rutelliani, con un meccanismo di cooptazione classico, che non può funzionare più, a meno che non vogliamo una politica tutta fatta di Piersilvi e Lapi.

  3. Anellidifumo ha detto:

    Ben detto, Ivan.

  4. Filippo ha detto:

    bravo Ivan, tra un po’ ritorneremo al medioevo, dove i cognomi come “Fabbro” erano usati dopo generazioni e generazioni di fabbri per mestiere. Tra quante generazioni avremo Piersilvio Mediaset, Pierluca Campari e Pierjhon Ferrari?

  5. Aleandro Baldi ha detto:

    Ecchessivuole? vogliamo statizzare le società private alla morte del fondatore per non lasciarle ai legittimi eredi? A me pare un ragionamento da comunisti.
    Cerchiamo di essere un po’ più concreti. E’ giusto che Matteo Colaninno o Piersilvio Berluschino proseguano il lavoro del padre. Se hanno la stoffa la cosa funzionerà, altrimenti l’azienda salta, qualche altra prenderà il suo posto nel settore, ci sarà un po’ di caos fra i lavoratori in mobilità, ma questo è il capitalismo!
    Il problema italiano è che sono pochi i ragazzi che emergono dal nulla. I figli degli operai troppo spesso fanno gli operai. La cosa non si risolve togliendo le aziende ai figli di papà, ma agevolando il credito, promuovendo il rischio, la meritocrazia, la flessibilità. L’Italia è un paese di mammoni che amano stare a casa fino ai 35-40 anni, con tutto pronto e preparato dai genitori.

  6. Marco Rosso ha detto:

    Il problema è: chi c’è dietro quei giovani?

  7. WalkA ha detto:

    a proposito di Colaninno: c’è ancora chi scambia le operazioni finanziarie con quelle industriali? O c’è qualcuno che crede che Tim ed Omnitel siano del colossi internazionali nell’HT? ma dai…

  8. Clio ha detto:

    Caro Ivan, me ne accorgo solo adesso…
    Che fine ha fatto la frase di Alex Langer sotto la testata del tuo blog?
    Sono un tuo lettore della prima ora e mi colpì tantissimo ritrovarlo lì, il meraviglioso motto alla rovescia.
    Non avrai mica sfrattato Langer dal tuo pantheon???
    Ciao e complimenti.
    Clio

  9. Silvio ha detto:

    Bravo Ivan!

  10. paolo ha detto:

    ragazzi, non prendiamoci in giro . tranne pochissime eccezzioni (e.g. arpe, che peraltro volevano far fuori nonostante eccellenti risultati finanziari), gli altri sono TUTTI figli di papa’, da piersilvio berlusconi in giu’.

  11. argo ha detto:

    Caspita che botte ragazzi. Certo un giovane che esorta spazio fà un po’ ridere. Meno ridere fanno gli esempi.
    Chissà quante persone piu’ brave ci sono in giro dei figli di…

  12. alessandro ha detto:

    Aleandro, gli italiani sono mammoni anche perché non hanno la possibilità di andarsene di casa. Proprio ieri i giornali pubblicavano i dati di una ricerca per la quale i giovani hanno stipendi da fame che non arrivano ai 1000 euro al mese, e che molti di loro sono disoccupati. Io ho vissuto in Germania, dove i figli lasciano la casa dei genitori a 19 anni, ma lá hanno il Bafög, ossia un sussidio governativo per finanziarsi gli studi che poi devono restituire a rate quando cominciano a lavorare. Un credito, quindi, ma pubblico. Conoscendo le banche italiane, pensi che il settore privato concederebbe crediti, come vorresti tu? Le banche italiane odiano il rischio, quindi non finanzierebbero nessuno, e lo dovresti sapere meglio di me che vivo all’estero. Finiamola di dare solo la colpa allo Stato se l’economia italiana è quello che è: in Italia i grandi imprenditori fanno ridere, e pensare che Pinco junior possa gestire una grande impresa solo perché è il figlio di Pinco senior è quantomeno ingenuo. Dove starebbe il suo merito, poi, visto che invochi la meritocrazia? Chiaro che la soluzione non è statalizzare, ma se poi l’impresa fallisce allora non voglio che sia lo Stato a metterci una pezza come è SEMPRE successo con la Fiat, la Pirelli, l’Olivetti ecc. Perché i soldi del contribuente italiano devono rimediare agli errori del figlio di papà di turno? Per salvare posti di lavoro, a sentire i vari Agnelli, De Benedetti, ecc. Bel ricattino, proprio da imprenditori illuminati e di ampie vedute: il lucro resta privato, la perdita diventa pubblica. Ecco chi sono i grandi imprenditori italiani.