Il desiderio di libertà delle cittadine e dei cittadini di questo paese è un fiume in piena.
Noi, donne e uomini, lesbiche e gay, eterosessuali e bisessuali, transessuali e transgender, credenti e non, cittadini italiani e portatori di altre culture, vogliamo essere protagonisti della nostra vita.
Chiediamo il rispetto delle nostre identità, delle nostre specificità, della nostra creatività. Rivendichiamo il diritto a portare avanti in modo autonomo il nostro progetto di vita, e a costruire, come facciamo, solidarietà, coesione sociale, relazioni d’amore. Vogliamo ribadire il nostro desiderio di vivere in un paese laico e la richiesta di riforme attente ai diritti civili, a partire da una legge sul Pacs che, sulla base dell’art. 2 della Costituzione, dia riconoscimento giuridico alle coppie che lo vogliano, dello stesso sesso o di sesso diverso.
Per ribadire la dignità delle nostre vite e dei nostri amori
saremo in piazza
sabato 14 gennaio alle ore 14.30
a Roma, in Piazza Farnese
Tutti in Pacs – Festa delle libertà civili
Saranno con noi tantissime coppie lesbiche, gay ed eterosessuali, a mostrare i loro volti e dire le loro esigenze ad una classe politica spesso lontana dai loro bisogni reali. Racconteranno i loro bisogni concreti e i loro sogni, gli intoppi prodotti da una normativa discriminatoria e la loro legittima richiesta di un pubblico riconoscimento giuridico.
Sul palco si alterneranno le voci di tutte quelle e tutti quelli che hanno a cuore la laicità della Repubblica. Ci incontreremo, in un grande raduno delle coscienze libere, per parlare di coppie e dei loro amori, di libertà di autodeterminazione delle donne, di lotta alle discriminazioni, di diritti delle persone transessuali e transgender, di lotta alla violenza in tutte le sue forme, di libertà di pensiero e di espressione, di libertà di religione in una cornice di separazione fra lo Stato e le Chiese.
Chiediamo a tutte le organizzazioni gay, lesbiche, bisessuali e transgender, alle associazioni, ai movimenti sociali, alle forze sindacali e politiche di essere parte attiva di questo momento di riaffermazione della libertà civile e della pluralità della cultura e del pensiero.
(Fonte: Arcigay.it)
L’art. 2 della Costituzione, opportunamente ricordato nell’appello per la manifestazione del 14 gennaio proclama il primato dei diritti inviolabili dell’essere umano nei confronti dello Stato (e anche, di conseguenza, nei confronti di ogni presunta identità cultural-nazionale che voglia farsi legge e principio fondante dello Stato). L’articolo stabilisce che i diritti del singolo ma anche delle comunità che esso liberamente crea per la realizzazione della propria personalità preesistono allo stato che deve riconoscerli e tutelarli: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Non tutti i diritti inalienabili dell’umano si manifestano nello stesso momento. Molti soggetti hanno dovuto combattere ardue battaglie nel corso della storia recente per vedere riconosciuta pubblicamente la coscienza del valore assoluto della propria identità e differenza. I Padri costituenti (e non a caso non si parla mai di Madri costituenti, eppure in sparuto numero ci sono state) non potevano certamente prevedere l’emergere dell’autocoscienza, della cultura e dell’orgoglio femminile, che si sarebbe dispiegato compiutamente di lì a 30 anni. Ma l’articolo 2 è stato concepito per essere sufficientemente generale ed inclusivo da permettere di accogliere flessibilmente anche i nuovi diritti che emergono nel processo storico. Perché lo stesso non dovrebbe valere per le rivendicazioni delle famiglie di fatto, che l’opinione pubblica (a differenza di buona parte della nostra classe politica) è ormai sufficientemente matura da accettare e riconoscere. Rivediamo l’articolo: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”. Hannah Arendt, intervenendo nel 1959 sulla spinosa questione dei matrimoni interrazziali, ancora vietati negli USA, scriveva: “il diritto di sposare chi vogliamo è un diritto umano elementare, accanto al quale (tutti gli altri) sono di rango inferiore”. Sposarsi significa far sì che la relazione d’amore non rimanga più una società senz’altro linguaggio che quello intimo e quotidiano della passione amorosa. Significa accedere al diritto, alla comunità civile, all’ordine simbolico che la costituisce. Vedere riconosciuto il proprio progetto di autorealizzazione come valore e promessa di futuro per la società intera. Ed è indubbio che la personalità, prima ancora che nell’associazionismo pubblico o nei luoghi di lavoro, pure tutelati, si costituisca e prenda la sua forma più compiuta nel rapporto d’amore in cui l’altro/a mi si manifesta con la massima urgenza, valore e intensità, rapporto amoroso che, come educazione originaria al rispetto dell’altro è la base e la misura di ogni altra formazione comunitaria e possiede quindi, anche al di là della possibilità di generare un figlio, una fecondità immanente. “…E richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Il mondo cattolico specialmente, ha imposto allo Stato il tema della sussidiarietà. Quale applicazione migliore che quella di concedere alle famiglie, a tutte le famiglie, i diritti, gli aiuti e le garanzie necessarie affinché possano svolgere al proprio interno quel lavoro di aiuto, sostegno economico, mutua solidarietà e ascolto che è loro proprio e che già da adesso solleva lo Stato da numerose incombenze? Sarà così dispiegato e realizzato in tutta la sua portata L’art. 3 che dichiara: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.”
Gabriella Stanchina