10 Settembre 2008
Prova d'orchestra
Sabato scorso c’è stata l’Assemblea Regionale del PD lombardo, la cui prima parte si è svolta sotto forma di gruppi di lavoro e – invitato in quanto costituente nazionale del Partito – ho partecipato al dibattito di cui era protagonista Roger Abravanel.
Abravanel, italiano, ci tiene a dirlo, è uno storico partner della McKinsey e ha appena scritto uno splendido libro dal titolo “Meritocrazia”: si tratta di uno di quei libri (come anche “Contro i giovani” di Boeri e Galasso; “Talento da svendere” di Irene Tinagli; “Il liberismo è di sinistra” di Alesina e Giavazzi) che leggi e mentre leggi ti senti le coltellate nello stomaco – almeno, questo è quello che succede a me – perché ti rendi conto di quanto sarebbe teoricamente semplice modernizzare e rendere il nostro paese meno statico, arretrato, sfiduciato e ripiegato su se stesso se solo lo si volesse, in quattro piccole mosse. Se solo qualcuno davvero lo volesse, o se insomma se lo volessimo almeno noi nel PD, che però ancora non sappiamo esattamente cosa vogliamo (ma questa è la storia per un altro post che sto covando da settimane e che prima o poi, spero, partorirò).
Beh, insomma, il libro di Abravanel sta facendo un sacco di rumore, uno sfracello di vendite ed io ero davvero molto curioso di partecipare all’evento. Sono andato via dopo due ore e passa di dibattito molto colpito non tanto e non solo dai contenuti, straordinariamente interessanti ma per questo basta consigliarvi vivamente di comprare il libro e leggerlo, quanto da tutta la dinamica dell’assemblea: sostanzialmente si è trattato per Abravanel di dirigere una sublime sinfonia suonata da un’orchestra di sordi. Lui sul suo podio ad agitare furiosamente le braccia e la platea, seduta di fronte coi suoi strumenti, affascinata dalle movenze del Direttore ma senza saper esattamente cosa fare degli strumenti (e anche del Direttore). Mettere insieme sotto a un tendone un consulente strategico di taglio internazionale, imbevuto fino al midollo di concetti sacrosanti di efficienza e merito, e un centinaio di militanti italiani di partito e vederli all’opera insieme è stato uno spettacolo che avrebbe meritato un serio lavoro di studio da parte di un gruppo di studiosi del comportamento di fama mondiale, di quelli che invece passano inspiegabilmente il loro tempo in Amazzonia quando com’è evidente ci sarebbe tanto da fare anche da noi.
La brava Anna Puccio che coordinava i lavori ha fatto del suo meglio per spiegare quale sarebbe stato il taglio dell’evento: l’autore del libro avrebbe raccontato le sue tesi, avrebbe poi illustrato le sue proposte e poi si sarebbe tenuto un dibattito sulle tesi del libro. La richiesta della presidenza era chiaramente quella di avere domande brevi su un tema specifico. Anche l’autore alla fine del suo intervento introduttivo aveva ribadito il concetto: sono qui, mi avete invitato, ho delle proposte, voi siete un grande partito politico: discutiamone. Il clash culturale c’è stato subito: chi conosce la politica italiana e bazzica un po’ l’ambiente sa che le nostre riunioni sono essenzialmente eventi nei quali una serie di persone parlano di quello che credono, senza che vi sia necessariamente un legame tra i vari interventi, senza che nessuno si occupi per forza di farne una sintesi, senza che in genere si concluda con alcun genere di cose da fare successivamente.
Se si va ad una riunione politica, però, parlare è obbligo assolutamente cogente: ci si va, di fatto, solo per quello. Andare ad una riunione e non iscriversi a parlare equivale in sostanza, per i comuni mortali, ad andare in ufficio senza lavorare. I primi tempi che ero nel partito mi capitava spesso di aspettare una mezz’ora prima di iscrivermi, per sentire di cosa si trattava, anche per capire se avevo qualcosa da dire sull’argomento. Ovviamente quando mi decidevo ad iscrivermi poi mi facevano parlare a notte fonda, se pure mi riusciva e sempre se non decidevo per sfinimento di dare forfait da solo. Dopo un po’ ho capito, ho osservato, e ho rilevato che a queste riunioni ci si iscrive a parlare appena si arriva, anche una mezz’ora prima che si cominci (cioè sempre un’ora dopo l’orario stabilito) cosicché ad inizio riunione gli interventi sono già tutti decisi. Che i relatori poi dicano cose sconnesse tra loro è la pura e logica conseguenza del fatto che si tratta sostanzialmente di timbrare un cartellino e dare aria alle fauci inanellando concetti sostanzialmente incomprensibili. Ma tanto non è un problema perché a queste riunioni nessuno ci va per ascoltare, quindi perché darsi pena?
Al di là dell’aspetto metodologico un certo nervosismo serpeggiava comunque nella platea, peraltro stremata da un caldo tropicale, anche perché in ogni caso – come la si giri e la si volti – per quanto razionalmente nel partito tutti o quasi siano prontissimi a definirsi assolutamente meritocratici, è evidentissimo che nel paese dell’Alitalia a discorrere sul serio di concetti storicamente percepiti come elitari e snob quali le università americane, l’eccellenza, la concorrenza vera e il libero mercato (e i suoi derivati) si rischiano mal di pancia pandemici. Così una signora ha presto preso la parola per dire che vabbè-le-eccellenze-ma-è-vero-anche-che-ciascuno-deve-realizzarsi-a-pieno-nel-lavoro-che-fa. Al che il buon Abravanel ha dovuto rispondere che guardi signora gli idraulici italiani sono molto più bravi di quelli americani, ma appunto non è discutendo di idraulici che risolviamo i problemi dell’Italia, e infatti il mio libro non parla di idraulici quindi qual è la sua domanda? La signora ha alzato gli occhi al cielo ed è tornata a sedersi sulla sua sedia posizionata in prima fila ma comunque a distanze siderali dall’oratore.
La riunione è finita dopo oltre due, in ogni caso interessantissime, ore mentre una deputata milanese giunta a riunione abbondantemente iniziata si agitava e urlava dal centro sala accaldata e concitatissima, credo, per non essere riuscita a prendere la parola durante il dibattito (temendo forse che non le venisse dunque contata la presenza: vedi sopra). Nell’insostenibile calura pomeridiana, poi, l’Assemblea, forse per dimostrare concretamente di aver fatto tesoro della consulenza di McKinsey ha eletto una snella Direzione Regionale composta da 160 persone. Meritocraticamente, è ovvio.
6 risposte a “Prova d'orchestra”
Questo pezzo è una bellissima fotografia della situazione in cui versa, al di là dei sogni e degli slogan veltroniani, il partito democratico e – più in generale – tutta la politica.
Anche volendo fare un serio sforzo per non assumere posizioni qualunquiste o antipolitiche, appena uno si accosta dall’esterno ad una riunione di partito a qualsiasi livello, sbatte il muso nella situazione così ben descritta da Ivan: gente che parla senza dire nulla o lanciando incomprensibili messaggi trasversali, gente che parla dall’alto di picchi di incompetenza assoluta, gente che parla senza concludere nulla.
In ogni caso, gente che parla solo perchè “bisogna parlare”.
E’ veramente difficile non cedere alla tentazione di piantare in asso tutto e tornarsene a fare esclusivamente i fatti propri.
Mamma mia, come è vero! che tristezza! Ma non è solo in politica: le riunioni di condominio, piuttosto che dell’Opera Montessori, o dell’AVIS, o i meetings del Lions Club. Sempre così.
Il dramma è che così è in politica, dove si dovrebbe decidere il bene di tutti.
Allora, Ivan? pensi che mai, in Italia, potrà un Abravanel dirigere una sublime sinfonia suonata da un’orchestra di NON sordi?
Che cosa dovrebbe modificare per avvenire una simile mutazione genetica?
Non è cattiveria, la nostra: è INEDUCAZIONE civica. Prova a Londra a fermarti a chiacchierare sul bordo del marciapiedi, in corrispndenza della striscia pedonale.
A me è accaduto. Devi andare via: le macchine si fermano, per sapere se stai per attraversare. A Milano, come a Palermo, se non stai attento sulle striscie pedonali, le macchine ti “arrotano”.
Cosa speri che cambi? E perché dovrebbe? Potrà mai?
Mamma mia, come è vero! che tristezza! Ma non è solo in politica: le riunioni di condominio, piuttosto che dell’Opera Montessori, o dell’AVIS, o i meetings del Lions Club. Sempre così.
Il dramma è che così è in politica, dove si dovrebbe decidere il bene di tutti.
Allora, Ivan? pensi che mai, in Italia, potrà un Abravanel dirigere una sublime sinfonia suonata da un’orchestra di NON sordi?
Che cosa dovrebbe modificare per avvenire una simile mutazione genetica?
Non è cattiveria, la nostra: è INEDUCAZIONE civica. Prova a Londra a fermarti a chiacchierare sul bordo del marciapiedi, in corrispndenza della striscia pedonale.
A me è accaduto. Devi andare via: le macchine si fermano, per sapere se stai per attraversare. A Milano, come a Palermo, se non stai attento sulle striscie pedonali, le macchine ti “arrotano”.
Cosa speri che cambi? E perché dovrebbe? Potrà mai?
che spaccato di realtà Italiana prima che democratica.Forse è proprio questo atteggiamento il primo avversario da battere. Idee e strategie?
grazie ivan per la lucida analisi di Meritocrazia
e stato un piacere consocerti qualche giorno fa
da allora è partito http://www.meritocrazia.com sul quale mi piacerebbe leggere le tue idee sul merito e quelle dei tuoi lettori
grazie ivan per la lucida analisi di Meritocrazia
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