Il mio pezzo per L’Unità di oggi.
Grant Park è proprio al centro di Chicago. I grattacieli giocano con le finestre illuminate, uno è diventato una bandiera a stelle e strisce, uno ha sulla facciata un’enorme scritta «USA» fatta con le luci degli uffici. Fiumi di persone, quelle che non sono riuscite ad ottenere un biglietto per l’area dove Obama avrebbe annunciato la sua vittoria, si stanno concentrando sotto i megaschermi nella zona del Millennium.
L’atmosfera è quella di un concerto rock. Tutti giovani e giovanissimi, le persone con più di quarant’anni sono l’eccezione: difficile credere che tutti questi ragazzi seduti sulle coperte distese sul prato siano qui, in fondo, per guardare quella che comunque sarà una specie di lunga tribuna politica.
Eppure la passione è di tipo calcistico: si comincia con il boato che segue l’exit poll che assegna ad Obama lo scontatissimo Vermont mentre il povero Kentucky si becca una salve di fischi per aver votato senza sorprese per John McCain. Si prosegue così per tutta la sera, tutti sempre pronti a scattare in piedi festosamente quando la Cnn rimanda le nostre immagini in tutto il mondo e poi il crescendo che segue la cavalcata elettorale di Obama. Fino all’abbraccio collettivo, alle urla, ai salti di gioia davvero inconsueti per una manifestazione di partito, che scattano alle 22 in punto, ora di Chicago, quando al posto della proiezione che tutti attendevamo dagli stati della costa ovest, arriva invece la proclamazione della vittoria di Obama.
Una vittoria resa storica soprattutto per aver fatto – come emerge chiaramente dalle rilevazioni demoscopiche – del tema generazionale, assai più dell’ovvio tema razziale, la sua carta vincente. Tutto alla fine si concentra e si spiega con la visibile differenza tra il clamoroso happening di Chicago e la triste riunione da dopolavoro ferroviario che si svolgeva a Phoenix nel quartier generale repubblicano.
Nell’ultimo video della campagna di Obama prima della chiusura delle urne si vede un bambino che alza un cartello con una sola parola: «hope», speranza. Ce n’erano tanti di cartelli così anche nel prato del Grant Park.
Una risposta a “Grant Park”
semplicemente splendido…ma anche così assolutamente desolante rapportato alla realtà in cui siamo calati, eppure dobbiamo combattere dobbiamo stringere i denti e riuscire ad impostare il cambiamento, abbiamo la forza e le idee per farlo e ,se ne avevamo bisogno, ora abbiamo anche un grande esempio. Noi che ringraziamo gli americani ad ogni piè sospinto dobbiamo trarre da loro la più grande lezione di democrazia, sono riusciti quasi a battere gli inglesi che hanno mandato a casa Churchill dopo che ha vinto la guerra, sono riusciti a dare speranza al loro futuro e forse un pochino anche al nostro.
Spingiamo dal basso, perchè per riuscire a cambiare il paese occorre che prima cambiamo il partito, diamo un anima al PD parliamo, la gente del circo massimo ha tante cose da dire.
Il PD deve ascoltare, cambiamo la nostra vita perchè la nostra voglia di cambire è davvero grande.
Forza, è difficile, non impossibile.
Ciao.
Oleg