Il dossier sull’aborto nel mondo, diffuso ieri dall’Agenzia Vaticana Fides in sintonia con le ultime esternazioni papali, non può tacere che in America Latina l’aborto clandestino è la prima causa di morte materna. Clandestino, perché in quel continente solo tre paesi – Cuba, Santo Domingo e Guyana francese – hanno leggi sull’interruzione volontaria di gravidanza simili a quelle europee. In Cile è vietato persino l’aborto terapeutico. Lo sa bene la cilena Karina Scorzelli Vergara, mediatrice culturale, tra le organizzatrici della manifestazione di domani a Milano in difesa della legge 194. Le immigrate ricorrono all’aborto più delle italiane. Questo secco dato di realtà è stato ben presente nella riflessione (più ricca, articolata e nuova di quanto paia a osservatrici lontane) che ha preparato la manifestazione. Riflessione «mediata» da chi incontra, accompagna, informa, cura le donne straniere nei consultori e negli ospedali. Come Karina e la ginecologa Graziella Sacchetti che al San Paolo dirige il «Centro di salute e ascolto delle donne immigrate e dei loro bambini». Bambini che le immigrate fanno più delle italiane, una dato «dimenticato» quando sono uscite le tabelle che segnalano un aumento delle interruzioni di gravidanza «causato» dalle straniere.Il 25,9% degli aborti legali effettuati nel 2003 è stato fatto da immigrate. Nel 1995 l’incidenza era del 7,5%. La curva degli aborti ricalca ovviamente quella delle presenze. In Lombardia, la regione dove soggiornano più straniere, il 37,4% degli aborti è stato fatto da immigrate. A Milano la percentuale supera il 50%.
Da un’indagine realizzata in due ospedali milanesi (San Carlo e San Paolo) risulta che una buona metà delle ivg delle immigrate avvengono nei due anni successivi all’arrivo in Italia. E’ il sintomo di quel che Karina definisce «uno spaesamento» culturale, affettivo, sociale. Si rompono dei legami, si esce dai controlli della famiglia d’origine. Relazioni effimire, spesso incentivate dalla la promiscuità abitativa, espongono a rapporti sessuali occasionali e non protetti. In Italia, spiega Graziella, le immigrate non trovano i metodi anticoncezionali che usavano nel paese d’origine. Ad esempio, l’iniezione progestinica mensile ancora usata nei paesi latinoamerica.
In generale, l’indagine evidenzia una scarsa conoscenza del proprio corpo. Il 50% delle immigrate non è in grado di identificare il periodo fertile. Il 44% delle straniere che hanno abortito nei due ospedali milanesi è rimasta incinta nonostante l’uso di contraccettivi (ulteriore dimostrazione di poca o nulla informazione).
Il 70% ha già uno o più figli (spesso lontani) e motiva l’interruzione di gravidanza con «ragioni economiche». Il termine va inteso in senso lato, suggerisce Karina. Per le «badanti» significa non disporre di una casa propria, di una vita propria. Coabitano con gli anziani che assistono. Per loro, fare un figlio equivale a perdere il lavoro e anche il tetto. In questi casi, osserva Graziella, «i pacchi di pannolini, i vestiti usati distribuiti dai Centri di aiuto alla vita spostano poco».Il 30% delle immigrate che abortiscono al San Paolo si ripresentano due settimane dopo alla visita di controllo. Più che una visita, un colloquio per verificare se ci sono problemi con il contraccettivo scelto, onde evitare «recidive». Che, comunque, ci sono sempre, anche tra le italiane. I consultori vantano un dato ancor più confortante: quasi la metà delle immigrate che passano dal consultorio per un’ivg ci tornano, mantengono il contatto. Le più dispobinili a prendere la pillola o a mettersi la spirale sono le rumene. Nel loro paese d’origine il ricorso all’aborto è molto alto (altro brutto retaggio del socialismo reale).
L’Istituto superiore di sanità stima che in Italia si facciano circa 20 mila aborti clandestini l’anno. Non è chiaro se la cifra comprenda anche quelli delle immigrate. Le latinoamericane ingeriscono o introducono in vagina manciate di pillole anti-ulcera, con il rischio di forti emorragie: diverse sono finite in rianimazione. Nulla trapela del «fai da te» delle cinesi.
Le immigrate abortiscono «in casa» per vergogna e soprattutto per paura, dicono Karina e Graziella. Molte credono che si ha diritto alle prestazioni sanitarie solo con il permesso di soggiorno in regola. Tante non sanno che esiste una legge che permette l’interruzione volontaria della gravidanza. Per ridurre gli aborti sia legali che clandestini delle immigrate c’è molto da fare. Non solo sul versante dell’informazione e della mediazione culturale. In Italia non c’è più un contraccettivo gratuito. Una confezione di pillole di terza generazione costa 14 euro e dura un mese. «Andrebbe data gratis almeno alle fasce a rischio», dice la ginecologa Sacchetti.
Nonostante il quadro sconfortante, le nostre due interlocutrici non si perdono d’animo e continuano a fare con passione il loro lavoro. Sono convinte che per le donne straniere succederà quel che è successo per le italiane. Nei primi anni dopo l’entrata in vigore della 194 il ricorso all’aborto si è impennato per poi diminuire costantemente. In parallelo sono diminuiti anche gli aborti clandestini (stimati a 100 mila all’inizio degli anni Ottanta).
(Fonte: il Manifesto, 13 gennaio 2006)