Uno dei primi aforismi che si imparano in Russia – e che ne rappresentano più efficacemente la realtà – risale allo storico Nikolaj Karamzin (1766-1826), secondo il quale «la durezza delle leggi russe è mitigata dal fatto che non è obbligatorio osservarle». Valeva ai tempi suoi, sotto il tallone di ferro di Nicola I; valeva in qualche modo anche durante l’era sovietica; e vale certamente ai giorni nostri. Veniamo allora alle leggi odierne. Il parlamento russo – la Duma di stato, che ha una maggioranza assoluta di stretta osservanza putiniana – sta esaminando una nuova legge sui movimenti dei cittadini stranieri. Movimenti da sempre soggetti a molte limitazioni: non solo il visto, ma il micidiale sistema della registratsia, per cui lo straniero deve dar conto tempestivamente alla polizia di ogni suo pernottamento e riceverne un timbro su un foglio speciale da portar sempre con sé; se il pernottamento avviene in una casa privata, occorre produrre una «lettera di consenso» firmata dal proprietario e da tutti coloro che abitano in quella casa; spesso per ottenere il fatidico timbro occorre lasciare il passaporto alla polizia per diversi giorni, con tutto quello che ciò comporta…
Ma dunque: in prima lettura, i deputati hanno già approvato un testo in base al quale il visto di ingresso nel paese potrà essere negato in una lunga serie di casi: tra questi, per citare i più «politici», l’eventualità che l’interessato con la sua attività «abbia nuociuto al prestigio internazionale» della Russia, ovvero abbia compiuto «azioni non amichevoli» verso «simboli o organi dello stato, ovvero valori storici della Russia». Insomma, chiunque «dica male» della Russia e del suo governo è nel mirino: nella genericità dei termini, sembra una misura puntata specificamente sui giornalisti, e probabilmente lo è. Se la legge entrasse in vigore senza ulteriori modifiche, sarebbe la più drammaticamente restrittiva della libertà d’informazione dai tempi dell’Urss – anzi, dal punto di vista formale anche più dura di quelle del settantennio.
In questi stessi giorni, il presidente Putin ha controfirmato senza clamore una delle leggi più controverse degli ultimi anni, su un argomento simile: le nuove regole per l’attività delle Ong, nazionali e soprattutto straniere. In base a tali regole sarà in pratica impossibile per una organizzazione non governativa straniera svolgere la propria attività senza una preventiva autorizzazione da parte del governo: subordinata a una complicatissima trafila burocratica e in ogni caso negata ove si vedesse in detta attività un qualunque «scopo politico». E’ noto che il Cremlino considera pienamente «politica» l’attività di Greenpeace, per esempio, o di Human Rights Watch. Quindi…
Torniamo all’aforisma di Karamzin. Non si pensi che esso significhi che in realtà il potere russo è lassista o tantomeno liberale. Al contrario: leggi rigidissime, applicate chiudendo normalmente un occhio e a volte tutti e due, significano che il potere si riserva in qualunque momento di stringere di colpo il cappio su chiunque voglia, visto che nessuno può realmente «essere in regola» con leggi tanto dure. E per converso, anche il potere approfitta sistematicamente – e senza che nessuno possa dirgli nulla – del fatto che «non è obbligatorio osservare le leggi», ignorando tranquillamente quelle che, bellissime e giustissime sulla carta, limiterebbero di fatto le sue prerogative. Si vedano le leggi (costituzionali!) sulla libertà dei cittadini di eleggere i propri rappresentanti ed essere eletti, o quelle sull’indipendenza dei giudici e via dicendo. Per non parlare delle leggi che puniscono la corruzione dei funzionari – le prime a non essere osservate, anche perché (bel circolo vizioso) l’essere necessariamente «non in regola» di tutti o quasi, cittadini o stranieri, enfatizza il ricorso sistematico alla vzjatka (bustarella).
In definitiva le nuove leggi sui visti e sulle Ong produrranno un certo, selettivo e duro controllo su alcuni, paura e tensione per tutti, denaro in più per poliziotti e funzionari. Non per nulla un altro celebre aforisma di Karamzin – un autore di corte, si badi, assolutamente pro-governativo – afferma che «per definire con una sola parola quel che si fa in Russia, la parola è: rubano». Sono passati duecento anni, ma siamo sempre lì.
(Fonte: il Manifesto, 21 gennaio 2006)